Tutto ciò che nasceva e viveva nella casa dei Bademlič era gaio, spensierato e sorridente. Solo Kata Bademlič, moglie del più anziano dei fratelli Bademlič, faceva eccezione. Era alta, ossuta, bionda, con occhi blu e uno sguardo freddo e scrutatore. Ventisei anni fa fu condotta nella ricca e grande dimora e da allora era diventata, di anno in anno, sempre più chiusa, sofferente e silenziosa. Non era felice con il marito e non ebbe più fortuna nemmeno con i figli.
Il suo uomo, Petar Bademlič, il fratello più grande della ricca famiglia, si era sposato molto tardi. Si raccontavano molte storie sulla sua gioventù. E anche quando condusse qui Kata, pure invecchiato e ormai appesantito, aveva ancora nelle parole, nei movimenti e soprattutto nel sorriso, qualcosa di violento e di lascivo. Era un sorriso largo, ottuso e sensuale, che sulle facce scure dei Bademlič era come un marchio che non si poteva nascondere. In questo sorriso c’era qualcosa che aveva riempito Kata – che proveniva da una sana e vitale famiglia di Livanj – di paura e di nausea per tutto questi anni, fino a oggi.
Con i figli era ancora peggio. Nei primi dodici anni di matrimonio Kata aveva partorito nove bambini, quasi tutti maschi, ma tutti erano morti appena entrati nell’età più bella. Al decimo parto sopravvisse per un pelo. Da allora smise di partorire. L’ultimo nato era una femmina. Fino a sei anni la bambina crebbe regolarmente; era minuta, ma bionda e così dolce che tutti in chiesa si voltavano a guardarla. Assomigliava in tutto alla madre e alla sua sana famiglia di Livanj. Ma quando compì sei anni cominciò a cambiare e a imbruttire. Si piegò alle ginocchia e si curvò in vita, il volto le si indurì e le palpebre si gonfiarono. Così tutta curva, con le labbra sempre semiaperte, si trascinava da un divano all’altro, e per anni restò nelle ghiacce e buie stanze dei Bademlič come una disgrazia familiare e una punizione divina. Ora aveva sedici anni. Ma si sviluppava poco nel corpo e ancora meno nella testa. Non riusciva né a drizzarsi né a camminare se non era sostenuta da qualcuno. Parlava poco usando solo parole essenziali, ma pronunciate sempre in modo confuso e cupo. La vecchia Bademlič vegliava continuamente sulla ragazza: non permetteva a nessuno della servitù di avvicinarla, l’aiutava negli spostamenti, la nutriva, la lavava e la vestiva.
Aveva fatto tutto il possibile per cercare di guarirla. Dopo aver visitato medici e fattucchiere e aver provato tutte le medicine e tutto ciò che se ne sapeva in giro, dopo aver pagato invano per messe e preghiere, una volta giurò davanti all’altare della Madonna che in occasione dell’Immacolata avrebbe camminato scalza fino a Olovo per portare la figlia malata alla sua fonte presso il monastero.
Come tutti coloro che hanno sofferto molto e hanno visto intorno a sé molte morti, che vivono separati dal mondo e rinchiusi in sé stessi, Kata percepiva di più le forze del mondo invisibile e le sentiva più intime e vicine. Dopo quel voto aveva pregato ancora e a lungo e quando si era alzata aveva ripetuto la sua preghiera e la sua richiesta alla Madonna.
«Io non ce la faccio più. Fai qualcosa, ti prego: o la guarisci, o la prendi con te in paradiso come hai fatto con gli altri nove».
Alcuni giorni dopo questo voto lasciarono la casa dei Bademlič all’alba per andare in pellegrinaggio. La vecchia aveva portato con sé la cognata, una vecchia zitella butterata. Con loro erano partiti anche due servi per portare in braccio la giovane: non era possibile infatti issarla sul cavallo. Presero anche due cavalli in modo da garantirsi il viaggio di ritorno. Albeggiava mentre salivano sulle prime alture sopra Sarajevo. La ragazza, che fino a quel momento si era molto lamentata e aveva pianto, ora riposava tranquilla in un cesto fatto per l’occasione che i due servi portavano su due bastoni infilati ai lati. Stanca e inebriata dalla frescura mattutina ora dormiva, il capo appoggiato sulla spalla destra. Ogni tanto, a qualche fermata un po’ brusca, apriva gli occhi, ma vedendo sopra il suo orizzonte le foglie, il cielo e il rosso dell’aurora, li richiudeva di nuovo credendo di sognare e sorrideva con un sorriso dolce da bambino malato che si sta riprendendo.
A un certo punto la salita diventò meno ripida. Attraversarono i boschi lussureggianti per imboccare una strada più larga e meno in pendenza. Cominciarono a imbattersi in piccoli gruppi di gente dei paesini vicini. C’erano persone molto malate, che, messe come sacchi sui cavalli, gemevano e roteavano gli occhi. C’erano anche dei pazzi e dei violenti che i parenti cercavano di sostenere e tranquillizzare.
La vecchia Bademlič camminava davanti ai suoi, si faceva strada in mezzo alla gente e, senza guardare nessuno, pregava sgranando il rosario. I ragazzi con il loro pesante fardello la seguivano a fatica. Due volte si erano fermati a riposar in un bosco di faggi accanto alla strada. Sostarono poi per mangiare e stesero sull’erba un tappeto scuro facendovi sdraiare l’ammalata. Ella cercava di stirare le gambe addormentate e il corpo rattrappito quanto più poteva. Si spaventò alla vista dei piedi della madre, scalzi, lividi e sanguinanti per la lunga marcia alla quale non si era abituata. Ma la vecchia ritirò subito i piedi nelle dimije e la bambina, allegramente sconcertata dalle cose nuove intorno a sé, se ne dimenticò subito. Tutto era nuovo, diverso e gioioso: l’erba folta e scura, i faggi frondosi con i funghi come scansie sulla crosta argentata, gli uccelli che planavano sulle mangiatoie dei cavalli e l’ampio panorama con il cielo chiaro e le nuvole allungate che passavano lentamente. E quando il cavallo scuoteva la testa e gli uccelli si mettevano a volteggiargli intorno impauriti, la bambina, stanca e assonnata, sorrideva a lungo a fior di labbra. Guardava i ragazzi mangiare lentamente e con impegno e anche in questo trovava qualcosa di allegro e divertente. Lei stessa mangiò con appetito. Si allungava sul suo tappeto quanto più poteva. Scostando l’erba con la mano vide un fiore che qui si chiama «orecchio della vecchia», piccolo e rosso fuoco, come smarrito nella terra nera. Gridò per l’emozione, che per la stanchezza si era addormentata, si svegliò e glielo colse. L’inferma rimase a guardarlo a lungo e a odorarlo tenendolo sul palmo della mano, poi lo avvicinò alla faccia e al suo contatto vellutato e fresco chiuse gli occhi per il piacere.
Al crepuscolo arrivarono a Olovo. Intorno alle rovine del monastero e alla piscina coperta da cui proveniva il mormorio sordo del crepitare dell’acqua calda che sgorgava dalla fonte della Madonna, c’era tanta gente. Erano già stati accesi i fuochi, si cucinava, si arrostiva e si mangiava.
La maggior parte dormiva sullo spiazzo. In capanno di legno c’erano i posti per i più benestanti. Fu lì che si sistemarono i Bademlič. Le due donne si addormentarono subito. La bambina invece passò l’intera notte in dormiveglia, ammirando attraverso la finestra le stelle sopra il bosco scuro, tante quante mai ne aveva viste prima. Ascoltava le voci intorno ai fuochi che non si zittirono per tutta la notte; la risvegliavano di tanto in tanto il nitrire dei cavalli e il fresco della notte. Alla fine si addormentò, ma nel risentire le voci e il brusio, non riusciva a capire se stava sognando o se era ancora desta.
L’indomani mattina andarono presto alla fonte.
Prima bisognava entrale in una stanza bassa e semibuia in cui ci si spogliava. Le assi del pavimento erano bagnate e quasi marce. Addosso ai muri c’erano panche di legno per appoggiare i vestiti. Fatti tre scalini, si scendeva poi in una stanza più grande dove si trovava la piscina. Il tetto era di pietra, voltato, e sulla cima c’erano delle piccole aperture attraverso le quali entrava una strana luce a raggiera. I passi echeggiavano e la volta in pietra faceva aumentare e riecheggiare anche il minimo suono. Lo scroscio dell’acqua rimbalzava dalle pareti e, moltiplicato e ingrossato, riempiva tutto lo spazio. Per farsi sentire si doveva gridare. E anche queste grida si moltiplicavano sotto gli archi. Le esalazioni rendevano più faticoso il respiro. Dal soffitto e dai muri l’acqua scendeva leggera: in fondo si condensava il verde muschio, come nelle grotte.
Da un arco di pietra scendeva l’acqua con un forte scrosciare. Era calda limpida, piena di bollicine d’argento, si spargeva sulla piscina di pietra e dalla pietra grigia assumeva un colore verdastro.
Donne e uomini si bagnavano, susseguendosi. Quando arrivò il turno delle donne si sentirono grida, calca, risse e schiamazzi. Alcune erano vestite, si erano tolte solo le scarpe e stavano immerse così nell’acqua che arrivava loro sopra le ginocchia, altre si erano spogliate o restavano solo in camicia. Quelle che non riuscivano ad avere figli erano immerse nell’acqua fino al collo e pregavano in silenzio, gli occhi socchiusi. Alcune raccoglievano l’acqua dalla fonte con i palmi delle mani, e si sciacquavano poi la gola, le orecchie e il naso. Erano tutte talmente prese dalla preghiera e dal loro pensiero di guarigione che non si vergognavano, quasi non si accorgevano della presenza altrui. Un po’ si spingevano o battibeccavano per il posto, ma subito dopo quelle piccole liti si spegnevano rapidamente e venivano accantonate. La vecchia Bademlič e la cognata cercavano di far entrare la ragazza nell’acqua. Anche se tutti erano presi e occupati da loro stessi, si scostavano e facevano loro posto, poiché la gente ricca e nobile non perde mai e in nessun luogo il diritto alla priorità.
Tutta contratta, la ragazza tremava e aveva paura dell’acqua e della gente. Ma si rifugiava sempre di più nell’acqua, come per nascondersi. Se non l’avessero sorretta per le spalle, si sarebbe lasciata scivolare sul fondo. Anche così tuttavia l’acqua le arrivava fino al mento. Mai nella vita aveva visto tanta acqua né sentito tante voci e grida. Solo qualche volta, mentre sognava di essere sana, di camminare e di correre, aveva immaginato di fare il bagno con gli altri bambini così come ora. Sentiva volteggiare sul corpo innumerevoli bollicine, chiare e minuscole. Era in estasi. Socchiudeva gli occhi e inalava velocemente il caldo vapore. Avvertiva le voci delle donne intorno a sé come fossero sempre più lontane. Sentiva qualcosa solleticarle gli occhi. Strinse di più le palpebre ma il solletico non cessò. Alla fine aprì gli occhi a fatica. Attraverso una di quelle piccole fessure sul soffitto un raggio di sole le illuminò il volto. nella luce tremula si innalza il vapore dell’acqua, come un pulviscolo, verde, blu e dorato. L’ammalata lo segue con lo sguardo. Improvvisamente si scuote e inizia faticosamente a uscire fuori dall’acqua. Sorprese, la madre e lazia allentano la stretta e, all’improvviso, la bambina rattrappita e paralizzata si alza come mai aveva fatto prima, lascia andare le mani che la sostengono ai lati e ancora un po’ curva procede avanti incerta, lentamente, come una bambina ai primi passi. Apre le braccia. Sotto la camiciola leggera e bagnata appaiono piccoli seni con le minuscole prominenze scure. Fra le ciglia pesanti le brilla una luce umida. Le labbra piene si allargano in un sorriso sensuale e ottuso. Alza la testa e, guardando in alto, verso quel raggio di luce, grida con voce chiara e forte:
«Eccolo, sta scendendo dalle nuvole! Oh, Gesù, Gesù…!».
Vi è qualcosa di terribile e di solenne nella sua voce. Tutte le donne si inginocchiano. Nessuna ha il coraggio di alzare la testa e di guardare l’ammalata o la sua visione, ma tutte la sentono sopra di loro. Alcune incominciano a pregare ad alta voce, altre sussultano e la loro preghiera diventa quasi un singhiozzo. Si sentono alcune battere le mani sui petti. E tutte queste voci hanno qualcosa di strano e incredibile. Sono lamenti che la gente si lascia sfuggire dal profondo del dolore o della gioia, quando il ritegno e la vergogna vengono dimenticati. L’eco sempre più forte amplia e aumenta queste voci, che si mischiano al rumore dell’acqua che cade dall’alto con grande fragore.
L’unica a non abbassare la testa è la vecchia Bademlič. È salita sul secondo scalino, così da stare in acqua fino alle caviglie, e da lì attentamente e in tensione osserva la figlia e i suoi movimenti come in sogno, e il nuovo sorriso sul suo volto. quindi, spingendo di colpo la cognata da parte, si avvicina alla ragazza, la prende per la vita e, messale l’altra mano sotto le ginocchia, con passi lunghi e rabbiosi, come se nascondesse qualche vergogna, la porta fuori nella stanza dove erano rimasti i loro vestiti.
Qui nella penombra tutto è tranquillo. Accanto a sé ha la bambina. Non c’è nessuno. La piccola trema tutta per il repentino cambiamento e, di nuovo rattrappita, è stesa sulla nuda terra; ma sul volto le è rimasto quel sorriso malsano e lascivo di sensuale beatitudine.
Dalle terme provengono le voci della preghiera e si alzano le grida per il miracolo e la guarigione. La vecchia è immobile, sconfitta, ancora più severa e dura del solito. Perché solo lei ha riconosciuto il sorriso dei Bademlič, e solo lei sa che non c’è stata nessuna guarigione, sa che tutto è stato inutile. E come se non vedesse l’ora di fuggire dalla folla e rimanere sola con la Madonna, con la quale ha in comune il voto non esaudito, si gira verso un angolo buio ed emette un grido sommesso e acuto:
«Prenditela! Prenditela con te!».
Continua a ripetere queste parole senza curarsi nemmeno della bambina, che trema accanto ai suoi piedi.
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