Nòvas d'Occitània    Nòvas d'Occitània 2023

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Nòvas n.235 Desembre 2023

Una camera per Stefano, storia di cinquanta anni fa

Una chambra per Esteve, istòira de cincant'ans fai.

di Franco Bronzat

italiano

Nevischiava in quel mattino scendendo dalla mia borgata per andare al negozio del paese ad acquistare il pane e qualcosa d'altro che serviva in casa. La  neve stava coprendo tutta la campagna e i tetti del paese. Quando arrivai in mezzo al villaggio intesi tossire da un angolo dove non vi era alcuna porta di casa ma solamente un pollaio. Mi sono fermato. Che diavolo ho pensato, non è nella stalla, alo caldo,sul posatoio, in questi giorni il pollame? Qualcuno stava dandogli del cibo? Ma faceva un freddo del diavolo, tra pochi giorni l'inverno sarebbe entrato nel suo periodo migliore. Sorpresa, nel pollaio, aggiustato alla meglio con qualche pezzo di lamiera, delle assette e pezzi di cartone, vi era un uomo il quale, buttato in angolo buio, cercava di coprirsi con una copertaccia, una nazionale in bocca e neppure una branda per riposare. Qui era? 

Ho guardato meglio, non era lo Stefano, quel poveraccio del servo di Vittorino Eissard, uno dei più intraprendenti commercianti di bestiame del comune.

Cosa fate Steve, li nel pollaio? Al freddo.

E' una storia lunga, non so se ti interessa.

Stefano era arrivato in paese da non molto, un paio d'anni se non mi sbaglio. 

Era nato non lontano da qui, aveva avuto una moglie e un figlio. Tuttavia aveva abbandonato tutto e tutti e s'era trovato un lavoro in alta valle dove faceva ciò che aveva sempre fatto e sapeva fare: il contadino.

Un tempo tutti i lavori era fatti a mano ma nell'alta valle tutti avevano un mulo o un asino per raccogliere il fieno, portare il letame, arare.  Portare alla grangia la mietitura nei sacchi, e in autunno portarque la servia dins maison..e a casa legna e rami.Meglio che nella bassa valle dove era necessario trasportare tutto sulla schiena, i fasci di fieno, legno e fascine nella gerla e lo strame nel telo.

E dopo quasi trent'anni era tornato e aveva trovato lavoro presso Vittorino.

Forse avrebbe preferito trovarsi un posto in un'osteria ma Vittorino aveva pur esso una piccola osteria, quindi un bicchiere di vino er assicurato. Si, perchè il vino gli piaceva.

Tuttavia Vittorino, tirchio e dalle braccia corte gli avia concesso nient altro che un giaciglio sulla paglia nella grangia o nella stalla d'inverno, il vitto, quattro soldi per le sigarette e un po' di vino.

D'estate saliva all'Alpe del Rochaç con unpo' di viveri e un doppio di vino che terminava nello stesso giorno in cui rimaneva solo lassù.

Il primo giorno salivano Vittorino e suo figlio per aiutarlo con la mandria ma in settimana salivano o l'uno o l'altro per portare pane, qualche patata, delle uova, un po' di mortadella o pancetta, una fetta di toma ma vino poco. Perchè sapevano che la bottiglia piena non durava molto.

Allora di lupi non se ne parlava, la selvaggina era scarsa, cinghiali nessuno.

Solo, lassù raccoglieva un po' di legna, rami piccoli e grossi per la stufa e controllava i suoi bovini. Lo conobbi così un giorno che avevo intrapreso una passeggiata al Rochaç. Buon giorno, come va, fa bello, gli dissi e lui ricambiò. Ai un po' di vino, mi ha detto subito dopo.

Vino ne avevo appena un una bottiglietta da un quarto, che gliela detti. Abbiamo chiacchierato un poco ma dovevo tornare e la strada ancora lunga. Le vacanze erano quasi finite e fra pochi giorni si sarebbe ritornati. Ero ancora iscritto all'Università.

Anche Steve sarebbe sceso con la sua mandria di vacche che era ora di lasciare l'Alpeggio. E dopo, tra poco, ci sarebbe stata la fiera del bestiame.

Avrebbe nuovamente fatto i lavori di tutti i giorni, accudire le bestie, togliere il letame, portarlo al letamaio ch'era al entrata del paese, un po' scartato, in un prato.Ma prima bisognava attaccare al carreto il suo Bibi, un bel mulo che quasi tutti i giorni era da strigliare e accudire. Precedentemente il Vittorino aveva un bel cavallo dalla coda e criniera bianca e dal pelo giallastro che era arrivato dall'Alto Adige, un Avelignese, Bibi anche lui.

Tuttavia non lo sapemmo mai, i due, padrone e servo, Vittorino e il nostro Esteve ebbere a dire per qualche motivo rimasto irrisolto (forse gli avrà chiesto la paga che gli aspettava) e il Vittorino buttò fuori il povero servo. Almeno l'avesse buttato fuori di casa lasciandogli un tetto dove potersi riparare, ma per la strada. Brutta situazione.

Dopo, in piazza, ho trovato qualcuno che avrebbe potuto aiutare quel pover uomo: era il “mansier” massaro del paese e gli raccontai i fatti ricordandogli che nella vecchia sede comunale vi era una camera dove ricoverare quel pover uomo. Subito mi assicurò che ne avrebbe parlato al Sindaco.

Raccontai il tutto ad una donna, la Leontina, una mia lontana parente, che aveva una stalla dove aveva qualche pecora e un paio di capre e gli chiedi di aiutare il povero Stefano, che tutti conoscevano, per qualche giorno, mentre il comune stava pensando al da farsi.

 Sarebbe stata un'opera di carità, le dissi. Le feste di Natale aiutarono nel risolvere la cosa. Effettivamente il Sindaco fece mettere in ordine la camera e mise la vecchia stufa della scuola a dispozizione.

Una tavola, una sedia e una vecchia branda, qualche coperta, ecco preparata una camera per il povero Steve. Il Sindaco gli fece avere un sussidio grazie all'ECA (Ente Comunale di Assistenza). Per l'epoca meglio di ulla.

Noi giovani gli portammo  della legna per potersi scaldare e pure del cibo e qualcosa per vestirsi e  ripararsi dal freddo, ora l'inverno  azzannava. E gli inverni di un tempo non eran come quelli di oggi. Di neve ve n'era dei bei manti!

Buon Natale e salute a tutti

Franco Bronzat

occitan

La paluchava quel matin en deissendent de ma borjaa per anar a la botiga de mon vialatge, achatar le pan  e qualquaren d'arre que la servia dins maison. La neu era entren de crubir tota la campanha e los cubèrts dal país.Quand siuc arribat al mei dal vialatge aic entendut tosse de un caire adont la li era pas gis de pòrta de maison mas ren que un polaier. Me siuc afermat. Que diau aic pensat, es-las pas al teit, al chaud,al joc, de cètos jorns las polalha? Qualcun era entren de li donar malhar? Mas la faziá un freid dal diene, entre pauqui jorns l'uvern al sariá intrat dins son melh. Sorpresa, dins le polaier, reneschat a la bèle melh abo qualque tòc de lamiera, de postilhons e de tòcs de cartelon, la li era un òme que, afrandat dins un angle escur, al cherchava de se crubir abo un cubertaç, aviá  una nacionala a la gola e ni manc una berlecha per se repausar.Qui er-la? 

Aic agachat melh, er-la pas l'Esteve, quel pauraç dal vaslet de Victorin Eissard, un dals plus entrevist marussiaire de la comuna.

Çò que fazatz-os 'Steve, aiquí dil polaier? Al freid.

L'es un'istòira lonja, saup pas se la t' enteressa.

Esteve al era arribat al país que l'era pas de gaire. Un parelh d'ans se me trompo pas. 

Al era naissut pas luènh d'aicí, qu'al aviá agut una fèmna e decò un filh. Pas mens aviá abandonat tot e tuts e al s'era embauchat dins l'auta valada adont al faziá ço qu'al aviá aretz fait e al sabiá far: le campanhard.

Un viatge tuts los trabalhs eran fait a man mas dins l'auta valada avian tuts un muul o un asne per rebastar le fen, portar le leam, laborar.Portar a la granja la meisson dins los balons, e d'autuènh menar a maison bòsc e ramilha.Melh que dins la bassa valada adont chalia portar tot sus l'eschina, los fais de fen, le bòsc e faissinas dins la bèna e le jaç dil borraç.

E apres de quasi trent ans al era retornat e al aviá trobat s'embauchar sus dal Victorin. 

Beleu al auriá estimat mai se trobar una plaça a l'òsto mas le Victorin al aviá decò una trassa de òsto, alora un veire de vin al era asegurat. Si. Perquè le vin al li plaiá.

Pas mens le Victorin, ranci e abo los braç corts al li aviá donat ren que una nicha sus la palha dins la granja o al teit d'uvern, la minjaa, quatre sòus plas sigarèta e una pauc de vin.

L'istat al montava a la mianda dal Rochaç abo un pauc de vivoralha e un pinton de vin qu'al finissiá dins le mesme jorn qu'al sobrava  solet aiquiaut.

Le primier jorn al montava decò Victorin abo son filh per l'ajuar abo le tropel mas dins la semana montian o un o l'autre a li portar de pan, doas trifas, d'uus, un pauc de mortadèla o ventresca, una lescha de toma mas de vin pas gaire. Perquè ilhs sabian que la bòta plena ilh durava pas gaire.

Alora de lubs la se n'en parlava pas, le gibier al era escarç, de sangliers pas gis. 

Solet, aiquiaut al rebastava un pauc de brondilha, qualqui branchons per le poile e al istava en garda de sas bramèlas. Mi l'ai conoissut perparelh un jorn qu'aviuc fait una promenada al Rochaç. Bonjorn, vai-la, la fai bon! li ai dit e el al a rechanjat. T'a un pauc de vin al m'a dit apres. 

De vin n'aviuc just una botelhèta de un quart que li aic donat. 'Os avem parjaqueat una peça mas duviuc me n'en tornar e le chamin l'era encara long. Las vacanças las era bele que feniá e entre pauqui jorns la li sarè istat lo retorn. Ero encara escrit a l'Universitat

Decò Esteve al saria descendut abo son tropel de vachas que era ora de desalpar. E apres, entre gaire la li saria istaa la fiera de las bèstias.

Al auria mai fait lo trabalhs de tuts los jorns, agriar, chavar la tampaa, la menar dins el liamier que la li era  a l'intraa da vielatge, un pauc a l'escart, dins un prat. Mas drant chalia atelar al caret son Bibi, un bel muul que quasi tuts los jorns era de estrilhar e acudir. Drant le Victor al avia un bel chaval dal penaç e criniera blancha e dal pel jaunastre qual venia del Sud Tiròl,  un Avelinhés, Bibi decò el.

Pas mens,'os z'avem jamai sabut, los dos, patron e vaslet, al  es a dire le Victorin e le nòstre  Esteve ilhs ruseran de brut per qualque motiu sobrat desconoissut( beleu a li auguera demandat sa paia que li tochava) e lo Victorin fotec fòra lo paure vaslet. Almens l'aguèsse fotut fòra de maison  en li laissent una sosta adont poguer s'abricar, mas pròpi per la via.Marria chausa.

Apres, en plaça, aic trobat qualcun que la se pòl, al auria pogut ajuar quel paure òme: al era le mansier dal país e li contieri la question en li sovenent que dins la vèlha maison de la Comuna la li era de chambra adont butar quel paure òme. Subit m'a asegurat qu'al auria parlat al Sendic de question.

Siuc passat a contiar le tot a una fèmna, la Leontina, una parenta a pechit luènh, qu'avia un teit adont ilh grdava qualquas feas e doas chabras e li aic demandat de ajuar le paure Esteve, que tuts conoissian, per qualqui jorns, que entrementier la comuna era entren  de li sonjar. La saria istaa un'òbra de charitat, li ai dit. Las fèsta de Chalendas ajueran pas mal a resòlvre la chausa.

En efet le Sendic fazec butar un pauc en òrdre la chambra e butec lo velh pòile de l'escòla a disposicion.Una carea, una taula e una vèlha cóoja, qualquas cubèrtas, v'aicí aprestaa una chambra per le paure Esteve. Le Sentic li fazec puèi decò aguer una pauc de sòus mercés de l'ECA (ente comunal de assistença). Per l'epòca melh que pas ren.

Nosautri joves li avem portat bien de bòsc per poguer s'eschaudar e decò de minjalha e qualquaren per s'abilhar e se parar de la freid, aüra que l'uvern mordia. E los uverns d'un viatge eran pas comà quelos d'encuèi.De neu la ni'era de peseaus!

Bonas Chalendas e bona sandat a tuts!

Franco Bronzat


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