Quando i cipressi sentono il fuoco
come una fiamma in fondo
alle mani della notte
quando lo spazio è troppo piccolo
e l’inutile ha fatto il suo nido
negli occhi.
Me ne vado senza dir nulla
per sentieri di povero tempo
e ciò è un bene
Non succede spesso di avere l’onore e il privilegio di conoscere delle persone straordinarie. Il mio primo ricordo vissuto di Roland Pécout mi riporta all’ormai lontana estate del 2007, quando con un’allegra compagnia di valligiani siamo partiti in una cinquantina per andare a Béziers alla manifestazione “Anem ÒC per la lenga occitana!”. Un viaggio e un’esperienza che, a ripensarci, mi hanno dato e lasciato molto: il clima festoso, la fiducia nel futuro della lingua, personificata da quell’enorme sfilata di grida, di energia, di suoni e di colori, l’occasione di visitare luoghi e parlare “amb de monde del mitan”, con gente del luogo e dell’ambiente che si impegna e lavora per difendere la lingua e la cultura occitana, che non ha ancora fatto il suo tempo, tutto ciò è restato, ed è stato impreziosito dall’opportunità che abbiamo avuto di fare la conoscenza di Roland Pécout. Mi hanno subito colpito il suo fare tranquillo, amichevole e la sua modestia, che sovente caratterizza, come dice mia madre, “le persone che sanno davvero”, che non hanno bisogno di mostrare e insegnare a nessuno ciò che pensano e ciò che vivono. Certamente conoscevo il nome e il personaggio in quanto importante umanista, scrittore e poeta occitano, ma all’istante ho percepito, sentendolo parlare – di storia, di cultura, dei suoi viaggi, dall’Africa alla Persia – che sotto quello spessore di intellettuale restava una persona dolce, sincera, un ricercatore innamorato della vita.
Dopo i bei giorni passati a Béziers, al momento del ritorno, una bella sorpresa: sul pullman sono saliti anche Roland Pécout e Jean Roquette, per approfittare di un passaggio fino alle loro città, più vicine alla Provenza. Così, durante una sosta, mentre con la compagnia, al riparo dal caldo sole linguadociano, passeggiavamo sul viale alberato accanto al fiume discorrendo, ad un certo punto, da solo, lui è sceso lungo la riva e camminando piano fra le pietre, rilassato, con uno sguardo spensierato e contento, si è messo a raccogliere pezzi di legno e di ferro portati giù dalla corrente del fiume. Quando è tornato e gli ho chiesto perché facesse ciò, ha risposto che gli oggetti raccontano delle cose. In quel momento ho capito che quell’uomo viveva nella poesia, per egli il mondo era poesia, e tutto ciò che sentiva, vedeva e toccava apparteneva, prendeva quella dimensione.
Cammini solo contro il vento
sei divenuto trasparente
ad ogni stagione
non c’entra la Speranza,
la vita va la vita viene
scegliendo oppure no.
Me ne vado senza dir nulla
per sentieri di povero tempo
e ciò è un bene
La vera occasione di incontrarlo, per la Chambra d’oc, è stata l’anno successivo, alla prima edizione del Premio Ostana, quando lo abbiamo invitato nelle nostre valli. Quel primo anno il Premio Speciale è stato conferito di dovere a Max Roquette, figura capitale dell’occitanismo del 900’, deceduto poco tempo prima, con una celebrazione dello scrittore e poeta, seguita da un dibattito. Dice Ines Cavalcanti, direttrice artistica dell’evento: “La presenza del figlio Jean Roquette e di Roland Pécout, che abbiamo premiato in seguito nel 2017, ha reso ancora più storica e fondamentale quell’edizione e ci ha fatto crescere nel tempo. Inoltre, il giorno prima dell’inizio del Premio ci siamo recati a Frassino, dove abbiamo reso omaggio alla tomba di François Fontan”.
E dopo pochi mesi, nello stesso 2008, durante “L’Occitània a pè”, quando ci siamo fermati a La Couvertoirade, nel Larzac. La tappa più lunga (benché non la più faticosa), trentacinque chilometri. Per la camminata quella è stata una serata storica, memorabile. Quando, nel silenzio della sala, fra quelle mura, “in” Occitania, “dins son dintre” (al suo interno), “de son dintre” (dal suo interno), Roland ha iniziato a parlare, raccontare e poi a leggere, le sue parole mi hanno nuovamente fatto entrare nella sua dimensione, risvegliandomi una sensazione già provata: non erano soltanto le parole, ma lui, non soltanto la poesia, ma il poeta, di certo in modo inconsapevole, a creare e far vivere la sua magia. Quella stessa persona affabile e modesta che per ispirarsi, per toccare la vita, raccoglieva pezzi di legno e ferrami lungo il fiume.
Ora Roland è mancato. Un’altra luce, un altro faro si è spento per l’Occitania. “Triste è il cielo, triste è la terra”, questo verso suona terribilmente vero per chi resta, le sue note stridono. Anche qui a Roccabruna, tendendo l’orecchio, volgendo lo sguardo verso ovest e verso sé stessi. È il momento del dolore e della mancanza, che verrà presto riempito da quello ben più gaio, importante e durevole, attraverso le pagine e pagine di scritti, riflessioni e poesie che compongono la sua opera, del beneficio del frutto e del bene della sua testimonianza. “Non è in tutto l’essere suo che stupore, il poeta: / un germoglio di attonito affetto, sì, un lussurreggiante stupore”, scrisse Hafez. Sono sicuro che anche lui conosceva quella poesia (“È stupore in germoglio che cresce…”) e quei versi, fra i più belli delle 80 canzoni composte qualche secolo fa dal poeta persiano. “Nulla resta, né noi, né lo starcene accanto fra noi, / (...)”. Questo è il mio ricordo di Roland Pécout: una persona dolce e straordinaria, uno spirito sottile, un’occitanista di cuore, e un poeta.
Frecce d’amore nel sole
la pena è sale la pace è miele
e il cuore è sangue
frecce d’amore nel sole
domani forse degli uomini
si scalderanno con esse.
Me ne vado senza dir nulla
per sentieri di povero tempo
e ciò è un bene
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