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Nòvas n.242 Lulh 2024

Soldati nella guerra del '15: il coraggio di dire NO

Soldats dins la guèrra dal quinze: lo coratge de dir NO

di Fredo Valla

italiano

Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio…” così recita la canzone che celebra il 24 del 1915, data dell’entrata in guerra dell'Italia contro l'Impero Austroungarico. Cominciò allora, per gli italiani, la Prima Guerra Mondiale. Trento, Trieste, l'Istria erano terre italiane ancora in mano allo Straniero e andavano liberate. 

Quest’anno sono 109 anni da quel giorno. Per noi occitani delle Valli fu la guero dal quienze e le lapidi nei paesi ricordano i morti “dell’inutile massacro” com’ebbe a dire il Pontefice del tempo. A mezzo secolo dall’unità d’Italia, nelle classi contadine chiamate al fronte, il “sentimento patriottico italiano” non aveva ancora fatto breccia. Il popolo basso, in parte analfabeta, non comprendeva le ragioni di chi lo mandava a morire.  Un soldato su quattordici - dei 4.199.542 mobilitati nei quattro anni di guerra - subì un processo penale. Uno su ventiquattro fu processato come disertore. Le pene all’ergastolo furono oltre quindicimila e poco più di quattromila le condanne a morte, di cui 750 eseguite, 2967 in contumacia. Circa trecento furono i fucilati senza processo e centinaia i soldati abbattuti durante gli assalti “per codardia in presenza del nemico” dai carabinieri o dai loro stessi ufficiali. 

Scrisse il capo supremo generale Luigi Cadorna ai tribunali militari che dovevano giudicare i colpevoli di rivolta in faccia al nemico: “… ricordo che non vi è altro mezzo idoneo a reprimere il reato collettivo che quello dell’immediata fucilazione dei maggiori responsabili e allorché l’accertamento personale dei responsabili non è possibile rimane il dovere e il diritto dei comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e di punirli con la morte…” (telegramma del 1° novembre 1916)

In nessun altro dei paesi in conflitto, la giustizia di guerra raggiunse i nostri livelli di repressione. In Francia, nonostante la maggior durata del conflitto, cominciato nel ’14, e il maggior numero di uomini mobilitati, le condanne a morte eseguite furono circa 600. In Gran Bretagna, con un esercito di 9 milioni di uomini, furono 346. Un centinaio quelle dell’esercito tedesco. 

Rivolte collettive, scioperi militari, si manifestarono fin dal primo inverno di guerra nel ’15, ad Aosta, Sacile (Pn), Oulx, con il rifiuto dei soldati di partire per il fronte. 

La disobbedienza più diffusa e il più assillante motivo di preoccupazione per le autorità militari, fu la diserzione, che aumentò costantemente: da 10.272 nel primo anno di guerra si passò alle 27.817 condanne per diserzione nel secondo, alle 55.034 nel terzo. 

Spesso i disertori erano protetti dalle popolazioni delle campagne, che segnalavano i movimenti dei carabinieri. Contadini che proteggevano altri contadini e davano loro rifugio. Nel settembre 1917 a Stienta presso Rovigo 150 donne e 50 uomini (secondo il resoconto della polizia) si opposero all’arresto di due disertori, aggredendo due carabinieri e gettandoli nel canale Bentivoglio, dove uno dei due annegò. 

Un libretto di memorie di Giuseppe Bianco, di Martiniana in valle Po (a cura di Amalia Bianco - ed. Gribaudo 1999), racconta di tal Vincenti Spirito (Prit), disertore, una sorta di primula rossa: “Noi tutti sapevamo che lui era un disertore e che i Carabinieri lo ricercavano, ma era talmente atletico, svelto e furbo che non erano mai riusciti a beccarlo… Lui correva veloce, i Carabinieri correvano dietro di lui e dietro ancora correvamo tutti noi bambini e grandi per vedere come sarebbero andate le cose. Lui, dopo aver attraversato i prati attraversava la via che divide dalle vigne e poi giù fra i filari verso il Po”.

Le amministrazioni locali ufficialmente bollavano i disertori con note di biasimo. Così accadde a Saluzzo: al Capitano comandante della 22° compagnia del 2° Reggimento Alpini Battaglione Saluzzo, che il 3 giugno 1916 aveva comunicato, affinché “la sua onta sia conosciuta”, la diserzione di tal Bigo Carlo, classe 1893, “che allontanavasi dal reparto mentre questi era chiamato a compiere alte e sublimi gesta”, il Sindaco rispondeva che il suindicato soldato” è bensì nato a Saluzzo nel 1892, però da genitori provenienti entrambi da altri comuni. … lo stesso ha poi abbandonato in giovanissima età la propria famiglia per emigrare nell’America meridionale, dove vi trascorse tutta l’adolescenza e parte della gioventù … così che i suoi occasionali vincoli colla Città di Saluzzo hanno potuto rallentarsi notevolmente, al punto di essere qui quasi sconosciuto”. In chiusura il Sindaco non mancava di ricordare che “il caso isolato non può intaccare … né rendere meno fulgida la gloria che circonda il buon nome dei Saluzzesi autentici”, in particolare i 35 concittadini “che hanno eroicamente già lasciato testé la vita sui campo dell’onore” - (documento pubblicato dal prof. Mario Bruno in un fascicolo destinato agli studenti della scuola media di Sanfront).

Al principio del 1917, fatti di eccezionale gravità si verificano in tutti gli eserciti combattenti: il popolo delle trincee diede segni di stanchezza e d‘insofferenza. Interi reparti si rifiutarono di tornare in linea. Pronunciamenti, rivolte, atti d’insubordinazione collettiva divennero frequenti in Francia, così come in Germania, in Austria, in Russia e naturalmente in Italia. 

Per la Francia il ’17 fu "l'année de l'angoisse", con 10 dipartimenti nelle mani della Germania. I disertori ammontarono a 25.579 (15.600 nel 1916). A maggio, in 51 delle 112 divisioni si verificarono casi di disordini e insubordinazione. A fine maggio, i soldati del 5° e del 129° reggimento della 5° divisione di fanteria rifiutano di tornare in linea. Il 6 giugno fu la volta del 274° reggimento. I soldati gridavano; "A bas la guerre" e "Assassin! Buveur de sang!". Il numero degli ammutinati fu calcolato in 30-40.000. Il generale Pétain invitò il presidente della Repubblica a non esercitare il suo diritto di grazia: "qu'une première impression de terreur est indispensable".

In Italia, il rifiuto di avanzare o tornare nelle prime linee, di mettersi in marcia o salire sulle tradotte, le imprecazioni contro la guerra, i gesti di avvicinamento al nemico e, tra gli ufficiali, il rifiuto di eseguire azioni destinate al fallimento esponendo i loro reparti a perdite eccessive, divennero via via più frequenti. La vita in trincea aveva logorato i soldati, così come la consapevolezza crescente dell’inutilità dei sacrifici, le promesse di turni di riposo non mantenute, le licenze negate, la disciplina durissima, l’arroganza dei giovani ufficiali verso i semplici fanti richiamati e in età già matura. Fin dall’inizio, lo Stato Maggiore aveva indicato i criteri delle fucilazioni, che dovevano avere carattere di “salutare” esemplarità. I plotoni d’esecuzione erano composti da militari appartenenti allo stesso reparto dei condannati, e alle esecuzioni dovevano assistere i commilitoni. 

Caporetto fu la disfatta: la più grave nella storia italiana tanto che ancora oggi Caporetto è sinonimo di sconfitta disastrosa. 

Cominciò il 24 ottobre 1917, alle due dopo mezzanotte, sul fronte dell’Isonzo. Le artiglierie austro-germaniche iniziarono a battere le posizioni italiane alternando gas a granate convenzionali. Le truppe non ressero e si sbandarono, fino al Tagliamento, poi fino al Piave. Fu la “rivolta dei santi maledetti”: così scrisse Curzio Malaparte nel suo celebre “Viva Caporetto!” del 1921, violento atto di accusa all’intera guerra italiana, interpretata come violenza dei pochi che l’avevano voluta sui molti, di cui i fanti contadini erano i rappresentanti più emblematici.

La ritirata avvenne in una situazione caotica. 

Quando i galeotti delle trincee, i fanti scabbiosi e pidocchiosi che non volevano più farsi ammazzare per gli altri, quando gli scioperanti coperti di fango e di cenci, più volte feriti, eroici quasi sempre e quasi mai decorati, giungevano nei paesi delle retrovie, pochi giorni prima pieni di stivali lucidi, di gonnelle e di “armiamoci e partite”, trovavano le strade deserte, le case vuote, i comandi abbandonati. Tutti erano fuggiti a precipizio, senza nemmeno pensare a resistere, a prendere le armi, dopo aver scagliato anatemi contro i “traditori della patria” che non volevano più farsi ammazzare per loro” (Malaparte op. cit). 

Fra gli alti ufficiali fu una corsa a scrollarsi di dosso la responsabilità della catastrofe, a mantenere intatti il prestigio e l'onorabilità. La colpa fu data al disfattismo, ai socialisti, al Papa, ai fanti senza fucile che non volevano più combattere. 

Una tragedia nella tragedia furono i profughi civili. Oltre un milione di persone delle provincie di Udine, Treviso, Belluno, Venezia e Vicenza abbandonarono le loro case riversandosi nelle strade che conducevano alla pianura padana. 

Andrea Graziani, noto come “il generale delle fucilazioni”, venne nominato Ispettore Generale del Movimento Sgombero delle truppe in ritirata tra il Piave e il Brenta. Suo il compito di riorganizzare gli sbandati, che esercitò ordinando in soli 15 giorni 57 fucilazioni sommarie. Il 3 novembre a Noventa Padovana il plotone d’esecuzione fu per l’artigliere Alessandro Ruffini di Castelfidardo, reo di averlo guardato con atteggiamento di sfida e di avere il sigaro in bocca: “Il generale lo redarguisce e riscaldandosi inveisce e lo bastona. Il soldato non si muove. Molte donne e parecchi borghesi sono presenti. Un borghese interviene e osserva al generale che quello non è il modo di trattare i nostri soldati. Il generale infuriato, risponde: “Dei soldati io faccio quello che mi pace” e per provarlo fa buttare contro un muricciolo il Ruffini e lo fa fucilare immediatamente tra le urla delle povere donne inorridite” (L’Avanti, giornale del P.S.I. – 28 luglio 1919). 

Trascorsi sette giorni, Graziani fece fucilare altri 18 soldati e 3 civili a San Pelagio di Treviso; a cui il 13 e il 16 novembre a Padova, si aggiunsero altri 32 militari e 3 borghesi. 

Di altri disobbedienti potrei raccontare: dei fucilati della Brigata Catanzaro a Santa Maria della Longa nel basso Friuli; dei fanti della Brigata Ravenna; dei Lupi di Toscana che alle Fonti del Timavo si rifiutarono di compiere un’azione suicida comandata dal vate Gabriele D’Annunzio; degli alpini del battaglione Monte Arvenis giustiziati a Cercivento per avere suggerito al loro comandante (un napoletano incompetente) una via sicura per la conquista di un monte che loro conoscevano bene per essere nati fra quelle montagne. Alla fine della guero dal quienze ci fu il silenzio, quello interessato dei comandi ma anche quello dei reduci. L’Italia vittoriosa non avrebbe compreso. 

Nel 2015, il governo italiano ha perso un’occasione storica come invece avevano già fatto nel 2008 la Francia e poco dopo la Gran Bretagna, quella di riabilitare la memoria dei suoi "disobbedienti". Una legge presentata in Parlamento si arenò fra distinguo e governi dimissionari.  Ora è troppo tardi?

Per saperne di più: www.fredovalla.it  in filmografia/regia

NON NE PARLIAMO DI QUESTA GUERRA

Film concerto su disertori, ammutinati, rivolte, fucilazioni sommarie nella Grande Guerra

di Fredo Valla (Italia, 2017)

prod.: Nefertiti Film con Istituto Luce

durata: 66’ - 2017

occitan

Il piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio...”, parelh récita la chançon que cèlebra lo 24 dal 1915, data de l’intrada en guèrra de l’Itàlia còntra l’Empèri Austroungàric. Comencet alora, per lhi italians, la Prima Guèrra Mondiala. Trento, Trieste, l’Ístria eron de tèrras italianas encara en man a l’Estrangier e anavon liberaas.

Aquest an son 109 ans da aquel jorn. Per nosautri occitans de las Valadas foguet la “guèrra dal quinze” e las lausas enti país navison lhi mòrts “de l’inútil massacre”, coma diset lo Papa dal temp. A metz sècle da l’unitat d’Itàlia, dins las classas païsanas chamaas al frònt, lo “sentiment patriòtic italian” avia encà ren chapat. Lo pòple bas, en part analfabeta, capia pas las rasons de qui lo mandava a murir. Un soldat sus quatòrze – di 4.199.542 mobilitats enti quatre ans de guèrra – subiet un procès penal. Un sus vint-e-quatre foguet processat coma desertor. Las penas a l’ergàstol fogueron passa quinze mila e un pauc mai de quatre mila las condanas a mòrt, dont 750 exeguias, 2967 en contumàcia. environ tres cent fogueron lhi fusiliats sensa procès e de centenas lhi òmes abatuts durant lhi assauts “per codardia in presenza del nemico” da lhi carabiniers o da lors mesmes uficials.

Escrivet lo cap suprèm general Luigi Cadorna a lhi tribunals militars que devion jutjar lhi colpèvols de revòlta derant al nemís: “… ricordo che non vi è altro mezzo idoneo a reprimere il reato collettivo che quello dell’immediata fucilazione dei maggiori responsabili e allorché l’accertamento personale dei responsabili non è possibile rimane il dovere e il diritto dei comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e di punirli con la morte…” (telegrama dal 1 de novembre 1916). 

Dins degun autre di país en conflict la justícia de guèrra rejonhet nòstri livèls de repression. En França, malgrat la majora duraa dal conflict, començat ental ’14, e lo major numre d’òmes mobilitats, las condanas a mòrt exeguias fogueron a l’entorn de 600. En Gran Bretanha, abo n’exèrcit de 9 milions d’òmes, fogueron 346. Na centena aquelas de l’exèrcit tedesc.

De revòltas collectivas, de grèvas militaras se manifesteron fins dal premier uvèrn de guèrra ental ’15, a Aosta, Sacile (Pn), Oulx, abo lo refús di soldats de partir per lo frònt.

La desobediença pus difondua e lo motiu de sagrin pus afolant per las autoritats militaras foguet la desercion, que aumentet constantement: da 10.272 dal premier an de guèrra se passet a las 27.817 condanas per desercion ental second, a las 55.034 ental tèrç.

Sovent lhi desertors eron protejuts da las popolacions de las campanhas, que senhalavon lhi moviments di carabiniers. De païsans que protegion d’autri païsans e lor donavon refuge. Ental setembre dal 1917 a Stienta, da pè a Rovigo, 150 fremas e 50 païsans (second lo rendut-còmpte de la policia) s’opauseron a l’arrèst de dui desertors, en agredient dui carabiniers e en lhi campant ental canal Bentivoglio, ente un di dui neet.

Un libret de memòrias de Giuseppe Bianco, de Martiniana en val Pò (a cura de Amalia Bianco – ed. Gribaudo 1999), còntia d’un tal Vincenti Spirito (Prit), desertor, na sòrta d’aucèl enchapable: “Noi tutti sapevamo che lui era un disertore e che i Carabinieri lo ricercavano, ma era talmente atletico, svelto e furbo che non erano mai riusciti a beccarlo… Lui correva veloce, i Carabinieri correvano dietro di lui e dietro ancora correvamo tutti noi bambini e grandi per vedere come sarebbero andate le cose. Lui, dopo aver attraversato i prati attraversava la via che divide dalle vigne e poi giù fra i filari verso il Po”.

Las administracions localas uficialament bolavon lhi desertors abo de reprimendas. Parelh capitet a Saluces: al Capitan comandant de la 22° companhia dal 2° Reggimento Alpini Battaglione Saluzzo, que lo 3 de junh 1916 avia comunicat, per que “la sua onta sia conosciuta”, la desercion d’un tal Bigo Carlo, classa 1893, “che allontanavasi dal reparto mentre questi era chiamato a compiere alte e sublimi gesta”, lo Séndic respondia que lo soldat susmencionat “è bensì nato a Saluzzo nel 1892, però da genitori provenienti entrambi da altri comuni. … lo stesso ha poi abbandonato in giovanissima età la propria famiglia per emigrare nell’America meridionale, dove vi trascorse tutta l’adolescenza e parte della gioventù … così che i suoi occasionali vincoli colla Città di Saluzzo hanno potuto rallentarsi notevolmente, al punto di essere qui quasi sconosciuto”. En conclusion, lo Séndic mancava pas de recordar que “il caso isolato non può intaccare … né rendere meno fulgida la gloria che circonda il buon nome dei Saluzzesi autentici”, en particular i 35 concitadins “che hanno eroicamente già lasciato testé la vita sui campo dell’onore” – (document publicat dal prof. Mario Bruno dins un fascícol destinat a lhi estudents de l’escòla mèdia de Sanfront).

Al començament dal 1917, de fach d’excepcionala gravitat se verifiqueron dins tuchi lhi exèrcits combatents: lo pòple de las trincheas donet de senhs de fatiga e d’insoferença. D’entiers reparts se refuseron de tornar en linha. De Prononciaments, de revòltas, d’acts d’insubordinacion collectiva deveneron frequents en França, parelh coma en Germània, en Àustria, en Rússia e naturalament en Itàlia.

Per la França lo ’17 foguet “L’année de l’angoisse”, abo 10 departaments en man a la Germània. Lhi desertors monteron a 25.579 (15.600 ental 1916). A mai, dins 51 de las 112 division se verifiqueron de cas de desòrdres e d’insubordinacions. A la fin de mai, lhi soldats dal 5 e dal 129 regiment de la 5 division de fanteria refuseron de tornar en linha. Lo 6 de junh foguet lo torn dal 274 regiment. lhi soldats criavon: “A bas la guerre” e “Assassin! Buveur de sang”. Lo numre di amutinats foguet calcolat en 30-40.000. Lo general Pétain envidet lo president de la República a ren exercitar son drech de gràcia: “qu’une première impression de terreur est indispensable”.

En Itàlia, lo refús d’avançar o de tornar en prima linha, de butar-se en marcha o de montar sus las tradòctas, las imprecacions còntra la guèrra, lhi gèsts d’avesinament al nemís e, entre lhi uficials, lo refús d’exeguir d’accions destinaas al faliment en expausant lors reparts a de pèrditas excessivas, deveneron sempre pus frequents. La vita en trinchea avia frustat lhi soldats, parelh coma la consiença creissenta de l’inutilitat di sacrificis, las promessas de turns de repaus ren mantenguas, las licenças negaas, la disciplina duríssima, l’arrogança di joves uficials vèrs lhi fants rechamats e já en atge maür . Fins dal començament, l’Estat Major avia indicat lhi critèris de las fusiliacions, que devion aver lo caràcter de na “salutara” exemplaritat. Lhi plotons d’execucion eron formats da de militars apartenents al mesme repart di condanats, e a las execucions devion assíster lhi companhs d’arma.

Caporet foguet la desfacha: la pus grava de l’estòria italiana, tant que encà encuei Caporetto es sinònim de desfacha desastrosa. 

Comencet lo 24 d’otobre dal 1917, a dui bòts après mesa nuech, sal frònt de l’Isonzo. Las artilherias autro-germànicas taqueron a bàter las posicions italianas en alternant de gas a de granadas convencionalas. Las tropas reseron pas e se desbanderon, fins al Tagliamento, puei fins al Piave. Foguet la “rivolta dei santi maledetti”: parelh escrivet Curzio Malaparte dins son celèbre “Viva Caporetto!” dal 1921, violent act d’acusa a l’entiera guèrra italiana, interpretaa coma violença di gaires sus lhi tanti, dont lhi fants païsans eron lhi rapresentants pus emblemàtics.

La retirada avenet dins na situacion caòtica.

Quando i galeotti delle trincee, i fanti scabbiosi e pidocchiosi che non volevano più farsi ammazzare per gli altri, quando gli scioperanti coperti di fango e di cenci, più volte feriti, eroici quasi sempre e quasi mai decorati, giungevano nei paesi delle retrovie, pochi giorni prima pieni di stivali lucidi, di gonnelle e di “armiamoci e partite”, trovavano le strade deserte, le case vuote, i comandi abbandonati. Tutti erano fuggiti a precipizio, senza nemmeno pensare a resistere, a prendere le armi, dopo aver scagliato anatemi contro i “traditori della patria” che non volevano più farsi ammazzare per loro” (Malaparte op. cit.).

Entre lhi auts uficials foguet na corsa a gavar-se da còl la responsabilitat de la catàstrofa, a gardar intacts lo prestige e l’onorabilitat. La colpa foguet donaa al desfatisme, a lhi socialistas, al Papa, a lhi fants sensa fusil que volion pus combàter.

Na tragèdia dins la tragèdia fogueron lhi refugiats civils. Pus d’un milion de personas de las províncias de Udine, Treviso, Belluno, Venècia e Vicença abandoneron lors casas en se reversant dins las vias que menavon vèrs la planura padana.

Andrea Graziani, conoissut coma “lo general de las fusiliacions”, foguet nominat Ispettore Generale del Movimento Sgombero de las tropas en retirada entre lo Piave e lo Brenta. Sia l’encharja de reoranizar lhi desbandats, que exercitet en ordinant dins masque 15 jorns 57 fusiliacions somàrias. Lo 3 de novembre a Noventa Padovana lo ploton d’execucion foguet per l’artilhier Alessandro Ruffini de Castelfidardo, colpévol d’aver  beicat abo n’actituda d’esfida e d’aver la cigala ent la gola: “Il generale lo redarguisce e riscaldandosi inveisce e lo bastona. Il soldato non si muove. Molte donne e parecchi borghesi sono presenti. Un borghese interviene e osserva al generale che quello non è il modo di trattare i nostri soldati. Il generale infuriato, risponde: “Dei soldati io faccio quello che mi pace” e per provarlo fa buttare contro un muricciolo il Ruffini e lo fa fucilare immediatamente tra le urla delle povere donne inorridite” (L’Avanti, jornal dal P.S.I – 28 de junh 1919).

Passats sèt jorns, Graziani faset fusiliar autri 18 soldat e 3 civils a San Pelagio di Treviso; a lhi quals lo 13 e lo 16 de novembre a Pàdova, se jonteron autri 32 militars e 3 borgés

Polariu contiar d’autri desobedients: de fusiats de la Brigata Catanzaro a Santa Maria della Longa, ental bas Friul; di fants de la Brigata Ravenna; di Lupi di Toscana que a las Fonti del Timavo se refuseron de complir n’accion suïcida comandaa dal “vate” Gabriele D’Annunzio; di alpins dal batalhon Monte Arvenis justiciats a Cercivento per aver suggerit a lor comandant (un napoletan incompetent) na via segura per la conquista d’un mont que conoission ben per èsser naissut sus aquelas montanhas. A la fin de la “guèrra dal quinze” lhi auguet lo silenci, aquel interessat di comands mas decò aquel di veterans. L’Itàlia victoriosa auria pas capit.

Ental 2015, lo govèrn italian a perdut l’ocasion estòrica, coma al contrari avion já fach ental 2008 la França e pauc après la Gran Bretanha, aquela de reabilitar la memòria de si “desodesobedients”. Na lei presentaa en Parlament s’es arenaa entre de distinguo e de govèrns dimissionaris. Aüra es tròp tard?

Per sauber-ne’n de mai: www.fredovalla.it en filmografia/regia.

NON NE PARLIAMO DI QUESTA GUERRA

Film concèrt sus lhi desertors, las revòltas e las fusiliacions somàrias dins la Granda Guèrra

de Fredo Valla (Itàlia, 2017)

prod: Nefertiti Film abo Istituto Luce

durada: 66’ – 2017


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