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Nòvas n.247 Desembre 2024

Il Dono di Natale - Fr

Le cadeau de Noël

di Grazia Deledda, traduzione e audio-lettura in francese a cura di Agnès Dijaux

Il Dono di Natale - Fr
italiano

Il dono di Natale è una racconto del premio Nobel della letteratura Grazia Deledda, pubblicata per la prima volta nel 1930 ed è una delle raccolte di novelle più celebri della scrittrice sarda. Siamo agli inizi del Novecento, in un piccolo paese della Sardegna, dove si sta svolgendo la tipica giornata di una famiglia di pastori, i Lobina, alle prese con i preparativi per la Vigilia di Natale,

Felle, ultimo di cinque fratelli, è il personaggio che racchiude in se l’anima della festa: l’entusiasmo di un bambino durante le festività natalizie si palesa con la sua voglia di aiutare tutti i membri della famiglia.

Il Dono di Natale

I cinque fratelli Lobina, tutti pastori, tornavano dai loro ovili, per passare la notte di Natale in famiglia. Era una festa eccezionale, per loro, quell’anno, perché si fidanzava la loro unica sorella, con un giovane molto ricco.

Come si usa dunque in Sardegna, il fidanzato doveva mandare un regalo alla sua promessa sposa, e poi andare anche lui a passare la festa con la famiglia di lei. E i cinque fratelli volevano far corona alla sorella, anche per dimostrare al futuro cognato che se non erano ricchi come lui, in cambio erano forti, sani, uniti fra di loro come un gruppo di guerrieri.
Avevano mandato avanti il fratello più piccolo, Felle, un bel ragazzo di undici anni, dai grandi occhi dolci, vestito di pelli lanose come un piccolo San Giovanni Battista; portava sulle spalle una bisaccia, e dentro la bisaccia un maialetto appena ucciso che doveva servire per la cena.
Il piccolo paese era coperto di neve; le casette nere, addossate al monte, parevano disegnate su di un cartone bianco, e la chiesa, sopra un terrapieno sostenuto da macigni, circondata d’alberi carichi di neve e di ghiacciuoli, appariva come uno di quegli edifizi fantastici che disegnano le nuvole.
Tutto era silenzio: gli abitanti sembravano sepolti sotto la neve.
Nella strada che conduceva a casa sua, Felle trovò solo, sulla neve, le impronte di un piede di donna, e si divertì a camminarci sopra. Le impronte cessavano appunto davanti al rozzo cancello di legno del cortile che la sua famiglia possedeva in comune con un’altra famiglia pure di pastori ancora più poveri di loro. Le due casupole, una per parte del cortile, si rassomigliavano come due sorelle; dai comignoli usciva il fumo, dalle porticine trasparivano fili di luce.
Felle fischiò, per annunziare il suo arrivo: e subito, alla porta del vicino si affacciò una ragazzina col viso rosso dal freddo e gli occhi scintillanti di gioia.
– Ben tornato, Felle.
– Oh, Lia! – egli gridò per ricambiarle il saluto, e si avvicinò alla porticina dalla quale, adesso, con la luce usciva anche il fumo di un grande fuoco acceso nel focolare in mezzo alla cucina.
Intorno al focolare stavano sedute le sorelline di Lia, per tenerle buone la maggiore di esse, cioè quella che veniva dopo l’amica di Felle, distribuiva loro qualche chicco di uva passa e cantava una canzoncina d’occasione, cioè una ninnananna per Gesù Bambino.
– Che ci hai, qui? – domandò Lia, toccando la bisaccia di Felle. – Ah, il porchetto. Anche la serva del fidanzato di tua sorella ha già portato il regalo. Farete grande festa voi, – aggiunse con una certa invidia; ma poi si riprese e annunziò con gioia maliziosa: – e anche noi!
Invano Felle le domandò che festa era: Lia gli chiuse la porta in faccia, ed egli attraversò il cortile per entrare in casa sua.
In casa sua si sentiva davvero odore di festa: odore di torta di miele cotta al forno, e di dolci confezionati con buccie di arance e mandorle tostate. Tanto che Felle cominciò a digrignare i denti, sembrandogli di sgretolare già tutte quelle cose buone ma ancora nascoste.
La sorella, alta e sottile, era già vestita a festa; col corsetto di broccato verde e la gonna nera e rossa: intorno al viso pallido aveva un fazzoletto di seta a fiori; ed anche le sue scarpette erano ricamate e col fiocco: pareva insomma una giovane fata, mentre la mamma, tutta vestita di nero per la sua recente vedovanza, pallida anche lei ma scura in viso e con un’aria di superbia, avrebbe potuto ricordare la figura di una strega, senza la grande dolcezza degli occhi che rassomigliavano a quelli di Felle.
Egli intanto traeva dalla bisaccia il porchetto, tutto rosso perché gli avevano tinto la cotenna col suo stesso sangue: e dopo averlo consegnato alla madre volle vedere quello mandato in dono dal fidanzato. Sì, era più grosso quello del fidanzato: quasi un maiale; ma questo portato da lui, più tenero e senza grasso, doveva essere più saporito.
– Ma che festa possono fare i nostri vicini, se essi non hanno che un po’ di uva passa, mentre noi abbiamo questi due animaloni in casa? E la torta, e i dolci? – pensò Felle con disprezzo, ancora indispettito perché Lia, dopo averlo quasi chiamato, gli aveva chiuso la porta in faccia.
Poi arrivarono gli altri fratelli, portando nella cucina, prima tutta in ordine e pulita, le impronte dei loro scarponi pieni di neve, e il loro odore di selvatico. Erano tutti forti, belli, con gli occhi neri, la barba nera, il corpetto stretto come una corazza e, sopra, la mastrucca (una sopraveste di pelle d’agnello, nera, con la lana, che tiene molto caldo).
Quando entrò il fidanzato si alzarono tutti in piedi, accanto alla sorella, come per far davvero una specie di corpo di guardia intorno all’esile e delicata figura di lei; e non tanto per riguardo al giovine, che era quasi ancora un ragazzo, buono e timido, quanto per l’uomo che lo accompagnava.
Quest’uomo era il nonno del fidanzato. Vecchio di oltre ottanta anni, ma ancora dritto e robusto, vestito di panno e di velluto come un gentiluomo medioevale, con le uose di lana sulle gambe forti, questo nonno, che in gioventù aveva combattuto per l’indipendenza d’Italia, fece ai cinque fratelli il saluto militare e parve poi passarli in rivista. E rimasero tutti scambievolmente contenti.
Al vecchio fu assegnato il posto migliore, accanto al fuoco; e allora sul suo petto, fra i bottoni scintillanti del suo giubbone, si vide anche risplendere come un piccolo astro la sua antica medaglia al valore militare. La fidanzata gli versò da bere, poi versò da bere al fidanzato e questi, nel prendere il bicchiere, le mise in mano, di nascosto, una moneta d’oro.
Ella lo ringraziò con gli occhi, poi, di nascosto pure lei, andò a far vedere la moneta alla madre ed a tutti i fratelli, in ordine di età, mentre portava loro il bicchiere colmo.
L’ultimo fu Felle: e Felle tentò di prenderle la moneta, per scherzo e curiosità, s’intende: ma ella chiuse il pugno minacciosa: avrebbe meglio ceduto un occhio.
Il vecchio sollevò il bicchiere, augurando salute e gioia a tutti; e tutti risposero in coro. Poi si misero a discutere in un modo originale: vale a dire cantando. Il vecchio era un bravo poeta estemporaneo, improvvisava cioè canzoni; ed anche il fratello maggiore della fidanzata sapeva fare altrettanto. Fra loro due quindi intonarono una gara di ottave, su allegri argomenti d’occasione; e gli altri ascoltavano, facevano coro e applaudivano.
Fuori le campane suonarono, annunziando la messa.
Era tempo di cominciare a preparare la cena. La madre, aiutata da Felle, staccò le cosce ai due porchetti e le infilò in tre lunghi spiedi dei quali teneva il manico fermo a terra.
– La quarta la porterai in regalo ai nostri vicini – disse a Felle: – anch’essi hanno diritto di godersi la festa.
Tutto contento, Felle prese per la zampa la coscia bella e grassa e uscì nel cortile. La notte era gelida ma calma, e d’un tratto pareva che il paese tutto si fosse destato, in quel chiarore fantastico di neve, perché, oltre al suono delle campane, si sentivano canti e grida. Nella casetta del vicino, invece, adesso, tutti tacevano: anche le bambine ancora accovacciate intorno al focolare pareva si fossero addormentate aspettando però ancora, in sogno, un dono meraviglioso. All’entrata di Felle si scossero, guardarono la coscia del porchetto che egli scuoteva di qua e di là come un incensiere, ma non parlarono: no, non era quello il regalo che aspettavano. Intanto Lia era scesa di corsa dalla cameretta di sopra: prese senza fare complimenti il dono, e alle domande di Felle rispose con impazienza:
– La mamma si sente male: ed il babbo è andato a comprare una bella cosa. Vattene.
Egli rientrò pensieroso a casa sua. Là non c’erano misteri né dolori: tutto era vita, movimento e gioia. Mai un Natale era stato così bello, neppure quando viveva ancora il padre: Felle però si sentiva in fondo un po’ triste, pensando alla festa strana della casa dei vicini.
Al terzo tocco della messa, il nonno del fidanzato batté il suo bastone sulla pietra del focolare.
– Oh, ragazzi, su, in fila.
E tutti si alzarono per andare alla messa. In casa rimase solo la madre, per badare agli spiedi che girava lentamente accanto al fuoco per far bene arrostire la carne del porchetto.
I figli, dunque, i fidanzati e il nonno, che pareva guidasse la compagnia, andavano in chiesa. La neve attutiva i loro passi: figure imbacuccate sbucavano da tutte le parti, con lanterne in mano, destando intorno ombre e chiarori fantastici. Si scambiavano saluti, si batteva alle porte chiuse, per chiamare tutti alla messa.
Felle camminava come in sogno; e non aveva freddo; anzi gli alberi bianchi, intorno alla chiesa, gli sembravano mandorli fioriti. Si sentiva insomma, sotto le sue vesti lanose, caldo e felice come un agnellino al sole di maggio: i suoi capelli, freschi di quell’aria di neve, gli sembravano fatti di erba. Pensava alle cose buone che avrebbe mangiato al ritorno dalla messa, nella sua casa riscaldata, e ricordando che Gesù invece doveva nascere in una fredda stalla, nudo e digiuno, gli veniva voglia di piangere, di coprirlo con le sue vesti, di portarselo a casa sua.
Dentro la chiesa continuava l’illusione della primavera: l’altare era tutto adorno di rami di corbezzolo coi frutti rossi, di mirto e di alloro: i ceri brillavano tra le fronde e l’ombra di queste si disegnavano sulle pareti come sui muri di un giardino.
In una cappella sorgeva il presepio, con una montagna fatta di sughero e rivestita di musco: i Re Magi scendevano cauti da un sentiero erto, e una cometa d’oro illuminava loro la via.
Tutto era bello, tutto era luce e gioia. I Re potenti scendevano dai loro troni per portare in dono il loro amore e le loro ricchezze al figlio dei poveri, a Gesù nato in una stalla; gli astri li guidavano; il sangue di Cristo, morto poi per la felicità degli uomini, pioveva sui cespugli e faceva sbocciare le rose; pioveva sugli alberi per far maturare i frutti.
Così la madre aveva insegnato a Felle e così era.
– Gloria, gloria – cantavano i preti sull’altare: e il popolo rispondeva:
– Gloria a Dio nel più alto dei cieli.
E pace in terra agli uomini di buona volontà. Felle cantava anche lui, e sentiva che questa gioia che gli riempiva il cuore era il più bel dono che Gesù gli mandava.
All’uscita di chiesa sentì un po’ freddo, perché era stato sempre inginocchiato sul pavimento nudo: ma la sua gioia non diminuiva; anzi aumentava. Nel sentire l’odore d’arrosto che usciva dalle case, apriva le narici come un cagnolino affamato; e si mise a correre per arrivare in tempo per aiutare la mamma ad apparecchiare per la cena. Ma già tutto era pronto. La madre aveva steso una tovaglia di lino, per terra, su una stuoia di giunco, e altre stuoie attorno. E, secondo l’uso antico, aveva messo fuori, sotto la tettoia del cortile, un piatto di carne e un vaso di vino cotto dove galleggiavano fette di buccia d’arancio, perché l’anima del marito, se mai tornava in questo mondo, avesse da sfamarsi.
Felle andò a vedere: collocò il piatto ed il vaso più in alto, sopra un’asse della tettoia, perché i cani randagi non li toccassero; poi guardò ancora verso la casa dei vicini. Si vedeva sempre luce alla finestra, ma tutto era silenzio; il padre non doveva essere ancora tornato col suo regalo misterioso.
Felle rientrò in casa, e prese parte attiva alla cena.
In mezzo alla mensa sorgeva una piccola torre di focacce tonde e lucide che parevano d’avorio: ciascuno dei commensali ogni tanto si sporgeva in avanti e ne tirava una a sé: anche l’arrosto, tagliato a grosse fette, stava in certi larghi vassoi di legno e di creta: e ognuno si serviva da sé, a sua volontà.
Felle, seduto accanto alla madre, aveva tirato davanti a sé tutto un vassoio per conto suo, e mangiava senza badare più a nulla: attraverso lo scricchiolìo della cotenna abbrustolita del porchetto, i discorsi dei grandi gli parevano lontani, e non lo interessavano più.
Quando poi venne in tavola la torta gialla e calda come il sole, e intorno apparvero i dolci in forma di cuori, di uccelli, di frutta e di fiori, egli si sentì svenire: chiuse gli occhi e si piegò sulla spalla della madre. Ella credette che egli piangesse: invece rideva per il piacere.
Ma quando fu sazio e sentì bisogno di muoversi, ripensò ai suoi vicini di casa: che mai accadeva da loro? E il padre era tornato col dono?
Una curiosità invincibile lo spinse ad uscire ancora nel cortile, ad avvicinarsi e spiare. Del resto la porticina era socchiusa: dentro la cucina le bambine stavano ancora intorno al focolare ed il padre, arrivato tardi ma sempre in tempo, arrostiva allo spiedo la coscia del porchetto donato dai vicini di casa.
Ma il regalo comprato da lui, dal padre, dov’era?
– Vieni avanti, e va su a vedere – gli disse l’uomo, indovinando il pensiero di lui.
Felle entrò, salì la scaletta di legno, e nella cameretta su, vide la madre di Lia assopita nel letto di legno, e Lia inginocchiata davanti ad un canestro.
E dentro il canestro, fra pannolini caldi, stava un bambino appena nato, un bel bambino rosso, con due riccioli sulle tempie e gli occhi già aperti.
– È il nostro primo fratellino – mormorò Lia. – Mio padre l’ha comprato a mezzanotte precisa, mentre le campane suonavano il “Gloria”. Le sue ossa, quindi, non si disgiungeranno mai, ed egli le ritroverà intatte, il giorno del Giudizio Universale. Ecco il dono che Gesù ci ha fatto questa notte.

Con questo racconto di speranza e serenità di un’autrice così rilevante, “Chambra d’Óc” e “Tsambra Fracoprovensal” ci tengono ad augurare a tutti un Natale di pace e di tranquillità. Buon Natale a tutti.

Français

Le cadeau de Noël est une histoire de Grazia Deledda, prix Nobel littérature, publiée pour la première fois en 1930 et constitue un des recueils de nouvelles les plus célèbres de cette femme Écrivain sarde. Nous sommes au début du XXe siècle, dans une petite ville de Sardaigne, où se déroule la journée d'une personne occupée aux préparatifs de la veille de Noël, appartenant à une famille de bergers, les Lobinas.

Felle, le plus jeune des cinq frères, est le personnage qui réunit l'âme de la fête : l'enthousiasme d'un enfant pendant les vacances de Noël, où l’envie d’ aider tous les membres de la famille se révèle.

LE CADEAU DE NOËL

Les cinq frères de Lobina étaient tous bergers , ils étaient en train de revenir à leur bergerie, pour passer la nuit de Noël en famille. Pour eux, cette année-là, c'était une fête exceptionnelle, car leur seule et unique sœur devait se fiancer avec un jeune homme très riche. Selon la procédure, en Sardaigne, le fiancé devait aller passer la fête avec cette famille et devait envoyer un cadeau à sa promise fiancée.

Les cinq frères entouraient leur sœur en forme de couronne, pour démontrer au futur beau-frère qu'ils n'étaient pas si riches que lui, mais en retour ils étaient forts, en bonne santé et unis entre eux comme une bande de guerriers. Ils avaient envoyé en avant coureur leur jeune frère, Felle, un beau garçon de onze ans, aux grands yeux doux, vêtus de laines et de peaux comme saint Jean-Baptiste enfant ; il portait sur ses épaules une sacoche, et à l'intérieur de la sacoche un petit porcelet tout juste égorgé pour le repas du soir. Le village était couvert de neige ; les petites maisons noires, adossées à la montagne, semblaient être dessinées sur du carton blanc, et l'église ressemblait à un bâtiments fantastiques que dessinent parfois les nuages, elle semblait comme posée sur un talus soutenu par des rochers, et elle était entourée d'arbres remplis de neige et de stalactites. Ce jour là, tout n’était que silence : les habitants semblaient ensevelis sous la neige. Sur la route qui menait à sa maison, Felle trouva seulement l’empreinte d'un pied de femme dessinée dans la neige, et il s’amusait à y marcher dessus. Les empreintes de pas s’arrêtaient juste devant le vieux portail en bois de la cour que sa famille détenait en commun avec une autre famille de bergers encore plus pauvre qu'eux. Les deux cabanes, chacune positionnée de chaque côté de la cour, étaient semblables comme deux gouttes d’eau ; de la fumée sortait des cheminées, et des rais de lumière brillaient à travers les petites portes. Felle siffla pour annoncer son arrivée : et aussitôt, de la porte du voisin apparue une petite fille au visage rougi par le froid, avec des yeux pétillants de joie.

Bien rentré, Felle.

Oh Oh, Lia ! – cria-t-il pour lui répondre et il s'approcha de la petite porte d'où, s’échappaient la lumière et même la fumée d'un grand feu allumé dans l'âtre au milieu de la cuisine. Les petites sœurs de Lia étaient assises autour du foyer, et l'aînée, c'est-à-dire celle qui venait juste après l'amie de Felle, leur distribua quelques grains de raisins de Corinthe pour les tenir sage et leur chanta une petite chanson, comme une berceuse pour l’Enfant Jésus.

- Qu'est-ce que tu as ici ? - demanda Lia, en touchant la sacoche de Felle.

- Ah, le cochon de lait. La servante du petit ami de ta sœur a elle aussi déjà apporté un cadeau. Vous allez faire une belle fête, ajouta-t-il avec une certaine convoitise ; puis il se rattrapa et annonça avec une joie malicieuse :

- et nous aussi !

Felle lui demanda sans trop de réussite de quelle fête il s'agissait : Lia lui ferma la porte au nez, et il traversa la cour pour entrer dans sa maison juste en face. Chez lui il y avait vraiment une odeur de fête: l'odeur du gâteau au miel cuit au four et de friandises préparées avec des écorces d’oranges et des amandes grillées. A tel point que Felle commença à crisser des dents, comme s'il avait déjà commencé à croquer toutes ces bonnes choses qui étaient encore cachées. La sœur, grande et maigre, était déjà tirée à quatre épingles ; avec un corset de brocart vert et une jupe noire et rouge : autour de son visage pâle, elle portait un foulard en soie fleuri ; et ses chaussures étaient également brodées avec un joli nœud : bref, on aurait dit une jeune fée, tandis que la mère, toute vêtue de noir à cause de la récente perte de son mari, toute pâle aussi mais son visage sombre, avait un certain air de fierté, elle ressemblait à une sorcière, mis à part la grande douceur que l’on pouvait lire dans ses yeux, comme dans ceux de Felle. Pendant ce temps, il sortit le porcelet de son sac, qui était tout rouge car ils avaient teint sa couenne avec son sang : puis après l'avoir donné à la mère, il voulut voir celui envoyé en cadeau par le fiancé. Oui, celui du fiancé était plus gros : presque un cochon ; mais celui qu’il avait apporté, était plus tendre et sans gras, il devrait être certainement plus savoureux.

Mais de quelle fête parlent nos voisins, ils n'ont que quelques raisins secs, alors que nous nous avons ces deux belles bêtes à la maison ? Et le gâteau, et les desserts ? - Pensait Felle avec mépris, toujours énervé parce que Lia, après l’avoir appelé, lui avait ensuite fermé la porte au nez.

Puis les autres frères étaient arrivés, portant dans la cuisine bien propre et ordonnée, les empreintes de leurs bottes pleines de neige et leur odeur sauvage. Ils étaient tous forts et beaux, avec les yeux noirs, la barbe noire, le gilet bien serré comme une armure et, une cape par dessus. Quand le fiancé est arrivé, ils se levèrent tous, à côté de leur sœur, comme pour faire un corps de garde autour de sa frêle et délicate silhouette; et cela pas tant pour le jeune homme, qui semblait encore un garçon, bon et timide, mais plutôt pour l'homme qui l'accompagnait. Cet homme de quatre-vingts ans et plus, était le grand-père du fiancé, toujours bien droit et fort, habillé de drap et de velours comme un gentilhomme au moyen-âge, avec des guêtres de laine sur ses jambes solides, ce grand-père qui s'était battu dans sa jeunesse pour l'indépendance de l'Italie, fit un salut militaire aux cinq frères en les passant sévèrement en revue. Ils semblaient tous bien contents. On donna au vieil homme la meilleure place, auprès du feu ; on pouvait voir sur sa poitrine, entre les boutons brillants de sa veste, la croix de valeur militaire, sa vieille décoration, qui brillait comme une étoile. La fiancée lui servit à boire, puis elle versa également à son fiancé et, tous deux en prenant leur verre, lui mirent discrètement dans la main, une pièce d'or. D’un regard elle les remercia, puis, discrètement elle alla , elle aussi, montrer la pièce de monnaie à la mère et à tous les frères et sœurs, par ordre d'âge, en même temps qu'elle leur apportait un bon verre de vin. Le dernier était Felle : et, bien sûr pour plaisanter et par curiosité, il essaya de lui prendre la pièce: mais elle ferma le poing d'un air menaçant: elle aurait préféré perdre un œil. Le vieux leva son verre, en souhaitant à tous santé et allégresse ; et tout le monde répondit en chœur. Alors à ce moment là ils commencèrent à discuter sur un ton original, c’est-à-dire en chantant. Le vieil homme quelquefois s’improvisait bon poète, c'est-à-dire qu'il inventait des chansons ; comme savait le faire aussi le frère aîné de la fiancée. Donc les deux improvisaient un concours d'octaves, sur des sujets improvisés ; les autres écoutaient, répétaient en chœur et applaudissaient. Dehors, les cloches sonnaient pour annoncer la messe. C’était déjà le moment de commencer à préparer le dîner. La mère, aidée de Felle, enleva les cuisses des deux porcelets et les inséra dans trois longues brochettes dont elle tenait fermement le manche appuyé au sol.

Tu apporteras la quatrième en cadeau à nos voisins – dit-elle à Felle : eux aussi ont le droit de profiter de la fête.

Tout content, Felle prit la belle et grosse cuisse et sortit dans la cour. La nuit était glaciale mais tranquille, et soudain il lui sembla que cette lumière fantastique que reflétait la neige avait ressuscité le village tout entier, avec en accompagnement le tintement des cloches, on entendait seulement des cris et des chants. Maintenant, dans la maison du voisin tout n’était que silence : même les fillettes encore accroupies autour du foyer semblaient endormies en attendant, dans leur rêve, un cadeau merveilleux. Quand Felle entra, elles sursautèrent, regardant la cuisse du cochon qu'il secouait d'un côté à l'autre, sans parler, comme un encensoir: et non, ce n'était pas le cadeau qu'elles attendaient. Pendant ce temps, Lia s'était précipitée hors de sa chambre à l'étage : elle prit ce cadeau sans éloges, et, elle répondit à Felle avec impatience :

- Maman ne se sent pas bien : et papa est allé acheter une jolie chose. Va-t-en.

Et il retourna pensivement chez lui. On n’y voyait ni mystères ni douleurs : tout cela correspondait à la vie, joie et bonheur. Jamais Noël n'avait été aussi beau, même lorsque le père était encore vivant : Felle, au fond se sentait un peu triste, en pensant à l'étrange fête chez leurs voisins. Au troisième battement de cloche annonçant la messe, le grand-père du fiancé tapa avec son bâton sur la pierre du foyer.

- Oh, les jeunes, debout, allez tous en file.

Et tout le monde se leva pour aller à la messe. A la maison il ne restait que la mère à côté du feu, pour s'occuper des brochettes qu'elle tournait lentement pour bien rôtir la viande du porcelet. Donc les enfants, les fiancés et le grand-père qui semblait diriger la compagnie, allèrent à l'église. La neige étouffait leurs pas: des silhouettes emmitouflées émergeaient de tout coté avec des lanternes à la main, formant des ombres et lumières fantastiques. Ils s’échangeaient des saluts, tapaient aux portes closes, pour inviter tout le monde à la messe. Felle marchait comme dans un rêve ; et il n'avait pas froid ; c’est vrai, pour lui les arbres complètement blancs autour de l'église ressemblaient à des amandiers en fleurs. Bref, il se sentait heureux et bien au chaud sous ses vêtements en laine, comme un petit agneau au soleil de mai : ses cheveux frais et gorgés de cet air de neige, faisaient penser à de la paille. Il pensait aux bonnes choses qu'il mangerait à son retour de la messe, dans sa maison chaude, et il se rappela que Jésus avait dû naître dans une étable froide, nu et affamé. Il eut envie de pleurer, de le couvrir avec ses vêtements, et de le ramener chez lui. A l’intérieur de l’église, il y avait comme un air de printemps : l'autel était entièrement orné de branches d'arbousier aux fruits rouges, de myrte et de laurier: les bougies brillaient entre les branches et leurs ombres se dessinaient sur les murs comme sur les murs d'un jardin. Dans une chapelle on avait installé la crèche, avec une montagne faite de liège et couverte de mousse : les Rois Mages descendaient prudemment sur un chemin escarpé et une comète toute d’or leur ouvrait le chemin. Tout était beau, tout était lumière et joie. Les rois puissants descendaient de leur trône pour apporter en cadeau leur amour et leurs richesses aux enfants des plus pauvres et à Jésus qui était né dans une étable; les étoiles les guidaient; le sang du Christ, mort pour le salut des hommes, semblait pleuvoir sur les buissons et faire fleurir les roses; il pleuvait sur les arbres pour faire mûrir les fruits. C’est ce que la mère avait expliqué à Felle et c'était donc ainsi. - Les prêtres chantaient sur l'autel :

- Gloria, gloria,

et les gens répondaient :

- Gloire à Dieu au plus haut des cieux. Et paix sur la terre aux hommes de bonne volonté.

Felle chantait lui aussi, et il sentait cette joie qui lui remplissait le cœur, c’était le plus beau cadeau que Jésus pouvait lui envoyer. Lorsqu'il quitta l'église, il eut un peu froid, parce qu'il était resté agenouillé sur le sol nu: jamais sa joie n'avait diminué mais toujours s’était renforcée. Sentant le parfum du rôti qui arrivait des maisons, il ouvrit les narines comme un petit chien affamé; il se mit à courir pour arriver à temps pour aider sa maman à mettre la table pour le dîner. Mais tout était déjà prêt. La mère avait étendu au sol, une nappe en lin, sur un tapis de jonc et sur d'autres tapis autour. Et, selon l'ancienne coutume, elle avait mis dehors, sous la toiture de la cour, une assiette de viande et un verre de vin cuit avec des tranches d'écorces d'orange, car si l'âme du mari devait un jour revenir dans ce monde, puisse se nourrir. Felle alla voir : il posa l'assiette et le verre en hauteur, sur une planche du hangar, pour que les chiens errants n’y touchent pas ; puis il regarda de nouveau vers la maison des voisins. On voyait toujours de la lumière à la fenêtre, mais tout était silencieux ; Le père n’était certainement pas encore revenu avec son cadeau mystérieux. Felle rentra chez lui et s’activa pour aider à préparer le dîner. Au milieu de la table se dressait une petite tour de fougasses rondes et brillantes qui semblait faite d'ivoire : chacun des invités de temps en temps se penchait en avant pour en prendre une : même le rôti coupé en grosses tranches, était placé sur de grands plateaux en bois et en argile : et chacun se servait, à sa guise. Felle, assis à côté de sa mère, avait tiré devant lui un plateau entier, et à lui seul mangeait sans plus prêter attention à rien : les discours des grands lui semblaient bien loin, à travers le crépitement de la croûte grillée du porc, et ne l'intéressaient plus. Puis quand le gâteau jaune et chaud comme le soleil avec tout autour des biscuits en forme de cœurs, d'oiseaux, de fruits et de fleurs, passa ensuite sur la table il se sentit mal : il ferma les yeux et s’affaissa sur l'épaule de sa mère. Elle pensait qu'il pleurait : mais non, il riait de plaisir. Mais quand il fut rassasié et ressentit le besoin de bouger, il repensa à ses voisins : que leur était-il arrivé ? Et le père était-il revenu avec le cadeau? Un sentiment irrésistible de curiosité le poussa à sortir à nouveau dans la cour, pour s’en rapprocher et les espionner. Après tout, la petite porte était encore entrouverte : les filles étaient dans la cuisine toujours autour du foyer et le père, qui était arrivé en retard mais quant même à l'heure, était en train de rôtir le gigot du porcelet offert par les voisins. Mais le cadeau qu’il, son père, avait acheté, où était-il ?

- Viens monte et va voir dit l'homme en devinant ses pensées.

Felle entra, monta sur l'échelle en bois, et dans la chambre au dessus, il aperçut la mère de Lia qui somnolait dans le lit en bois, et Lia agenouillée devant un panier.

Et à l'intérieur du panier, au milieu de linges bien chauds, il y avait un enfant qui venait de naitre, un beau bébé tout rose, avec deux jolies boucles sur les tempes et les yeux déjà ouverts.

- C'est notre premier petit frère, murmura Lia.

- Mon père l'a acheté à minuit pile, pendant que les cloches sonnaient le "Gloria". Ces os resteront toujours unis et resteront encore intacts, jusqu’au jour du Jugement dernier. Voici le cadeau que Jésus nous a fait cette nuit.


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