Un lunedì di giugno sono in auto con Marco Ghezzo e Arnold De Boer, in arte “Zea”. Scendiamo le curve che dal Rifugio Galaberna portano a valle, così prima seguiamo il Po, poi una volta a Saluzzo ci dirigiamo verso la Valle Stura. Alle spalle abbiamo un bagagliaio che straripa e le intense giornate del Premio Ostana. Marco ha accompagnato Daniel Petrila, il Premio giovani romeno, che scrive poesie in lingua rom. Io ho lavorato come sempre alla realizzazione di interviste agli autori premiati. L’ultimo a comparire davanti alla camera è stato proprio Zea, il Premio Composizione Musicale.
A Roccasparvera aspettano il musicista frisone, si esibirà quella sera nella chiesa del paese, in un concerto intimo, voce e chitarra. Un pubblico attento. L’occasione per festeggiare anche il compleanno di chi ha organizzato l’evento, Sirio Cavallera. Un po’ di rinfresco e Zea prende in mano la chitarra. Racconta perché è lì, di come sia stato invitato da Flavio Giacchero e premiato ad Ostana, dell’idea di approfittare di un viaggio in Italia per “piazzare” qualche data, come si dice in gergo. Sirio è una sua vecchia amicizia, un fan sfegatato dei The Ex, una band underground olandese che a quanto pare è diventata leggendaria (su wikipedia The Ex viene definita come una band anarco-punk e free jazz con incursioni nella musica tribale e sperimentale): Zea ora ne è la voce e il chitarrista.
La scaletta è simile a quella eseguita al concerto del Premio Ostana. Dopo quel concerto ho subito comprato un suo disco. Non so bene come definire la sua musica cantautoriale, la forza dei testi in lingua frisone e il modo che ha di suonare la chitarra. Però quando Mariona Miret intervista Zea e io lo riprendo insieme all’immancabile Yalmar Destefanis… qualcosa mi sembra di capire. Inizio a unire dei puntini. Si crea un disegno. Arnold de Boer ha una sensibilità così vicina alla mia da diventare per questa ragione quasi indefinibile. Uno strano gioco di specchi. La sua formazione in antropologia e in filosofia risuona con la mia, anche se nasce per ragioni diverse. Zea voleva studiare antropologia perché voleva conoscere al meglio tutte quelle realtà culturali non occidentali capaci di proporre alternative valide alla società capitalistica. Era un giovane attivista politico, Zea, e questo lo ha portato in Africa. Il suo primo viaggio in Kenya, poi tante collaborazioni con musicisti dell’Africa Occidentale. Tournèe in tutto il mondo. Zea ha un’immagine che tanto mi ricorda l’idea di “villaggio sparso” con cui Manuela Almonte della Carovana Balacaval immaginava le tante realtà che in Europa si muovevano a passo lento, con cavalli o meno, ma sempre sulle ali del vento della musica popolare. Arnold immagina invece una grande rete metropolitana. Ognuno ha la sua stazione. Nelle giornate di giugno Zea è sceso alla stazione di Ostana, una stazione di cui aveva già sentito parlare da degli amici poeti che erano stati a loro volta premiati nelle edizioni precedenti: Tsead Bruinja (lingua frisone) e Aurelia Lassaque (lingua occitana). Era curioso di vivere l’atmosfera di Ostana, entusiasta di poter assaggiare il suo cibo, contento di poter mettersi in ascolto e vivere relazioni di vero e proprio scambio con la grande famiglia del Premio Ostana. Ne aveva sentito parlare come di un luogo unico, e nell’intervista finisce per confermare questa impressione, che prima di arrivare davanti al Monviso era solo un’aspettativa ideale. Ma Arnold va avanti. Disegna altri puntini e li connette alla sua personale rete metropolitana. Ogni stazione è un luogo unico. E per lui è bello poter salire su un treno immaginario nella sua stazione di Amsterdam, viaggiare e andare a trovare amici in altre stazioni. In questi viaggi ritrova la diversità culturale e linguistica. Sostiene che questa diversità non fa paura. Solo i politici possono vederla come minaccia, solo alcuni politici possono creare paura attorno a quel che è diverso da noi. Per tutti gli altri, dice Zea, la diversità (culturale e linguistica) fa ridere. Letteralmente: fa ridere. Quante risate si è fatto in giro per i cinque continenti, Zea! Sorride a ricordare quei momenti in cui due persone capiscono di parlare e di agire in modi completamente diversi. Sono momenti densi di simpatico imbarazzo, momenti buffi, a volte può esserci anche del disagio ma l’ironia e la presa in giro prevale, e non si può fare altro che ridere di fronte alla diversità. Lo sguardo di Zea si colora di una bella luce quando ricorda quei momenti, e la sua stazza da uomo del nord Europa si muove sulla sedia, divertita e divertente. Ma spesso l’intensità e il dramma affiorano dalle sue canzoni, l’arpeggio delle sue dita invita all’ascolto, l’intenzione autoriale è altissima e tutti rimaniamo immobili ad ascoltarlo. Che cosa suona? Sono ballate? Perché usa la cassa della chitarra come percussione? Racconta della sua prima canzone in lingua frisona. Prima cantava solo in inglese, perché la sua musica era internazionale, e l’inglese era il veicolo adatto per arrivare dappertutto. Ma poi nel 2011 muore sua madre. E allora decide di scrivere una canzone. Ma le parole in inglese sono ferme, in fondo alla gola. Ad uscire è la lingua frisona, la lingua della sua quotidianità, ma ancor più importante, è la lingua che parlava sua mamma, è la sua lingua madre. Una canzone tira l’altra, ed ecco Zea che nei suoi concerti solisti canta in frisone, e porta la sua lingua dove capita. In qualsiasi stazione. Perché lui è un musicista, e la musica è il modo con cui si esprime. Ce lo ricorda tante volte. Ed è per questo che nell’intervista che troverete nel link qui sotto lo sentirete cantare “a cappella”. Ed è per questo che nella premiazione quando gli viene chiesto di leggere il testo di una sua canzone finisce per cantare anche quella canzone “a cappella”. Perché quelle parole per lui non sono un semplice testo, non sono del nero sul bianco, ma sono una melodia, una melodia che va cantata. Io ho avuto i brividi, in entrambe le occasioni. Perché ho visto Zea salire e scendere dal suo treno, percorrere tutta la sua rete metropolitana mondiale, arrivare alla stazione di Ostana, scendere e regalarci la sua arte. E in quel momento ho sentito un vero cantastorie, una sorta di griot, e ho capito che una parte dei suoi viaggi in Africa deve essere rimasta tra la gola e le dita, in quel modo in cui ipnotizza il pubblico anche quando questo non conosce la sua lingua. La voce e la chitarra si accompagnano l’un l’altra, le storie vanno e vengono, un alito di vento creativo e nomade soffia gentile e Zea si ritrova a scendere in un’altra stazione. Senza mai dimenticare la sua lingua madre.
Intervista a Arnold De Boer “ZEA”, Premio Ostana 2024, Lingua frisona, Olanda
Arnold De Boer “ZEA”, riceve il Premio Ostana 2024, Premio Composizione Musicale
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