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Nòvas n.249 Febrier 2025

Invito a teatro con le altre lingue d’Italia

Envit a teatre abo las autras lengas d’Itàlia

di Valter Giuliano

Invito a teatro con le altre lingue d’Italia
italiano

Tragùdia e Machbettu di Alessandro Serra

Poter sentire il suono delle lingue minoritarie al di fuori dei loro ristretti confini territoriali d’elezione è piuttosto difficile. Che lo si possa incontrare in tutta Italia, da Bologna a Torino, da Rimini a Sassari, da Cagliari a Genova, Parma, Savona, Roma… o addirittura in Europa è privilegio raro.

Accade con il progetto teatrale di Alessandro Serra che dopo il sardo di Machbettu sposa la lingua grecanica.

Ha appena portanto in scena Tragùdia. Il canto di Edipo, liberamente ispirato all’Edipo re e all’Edipo a Colono di Sofocle.

Per farlo nella maniera più consona alla sua poetica ha deciso di far recitare la sua compagnia in griko. «L’italiano – spiega l’autore, regista e scenografo – sembra abbassare il tragico a un fatto drammatico. Abbiamo perciò scelto il grecanico, lingua che ancora oggi risuona in un angolo remoto di quella che fu la Magna Grecia, una striscia di terra che dal mare si arrampica sull’Aspromonte scrutando all’orizzonte l’Etna».

Per celebrare rito e mito, quale linguaggio più adatto? Quale migliore opportunità se non quella di cercare di riprodurre la dimensione sonora della tragedia utilizzando una lingua minoritaria che ha radici nella Magna Grecia e che quasi per miracolo risorge dal passato per essere, con continuità, riproposta nel presente grazie a una comunità esigua, appassionata e orgogliosa?

La legge nazionale sulle lingue minoritarie (n. 482/1999) ha riconosciuto il griko, che l’Atlante Unesco delle lingue in pericolo pone tra quelle più seriamente minacciate. Questo, ovviamente, per l’esigua quantità dei parlanti, tutti residenti in quella che viene denominata la Calabria grecanica e che comprende i Comuni di Reggio Calabria, Bova, Bova Marina, San Lorenzo, Palizzi, Brancaleone, Roghudi, Bagaladi, Condofuri, Melito di Porto Salvo, Montebello Jonico, Motta San Giovanni, Samo e Staiti.

La professoressa Marianna Katsoyannou, docente di linguistica generale presso la Facoltà di Studi Bizantini e Neogreci dell’Università di Cipro, stabilì nel 2001 che gli ellenofoni calabresi erano meno di 500, quasi per intero distribuiti tra Gallicianò (frazione del comune di Condofuri), Bova e Roghudi.

Con coraggio Alessandro Serra esplora dunque una lingua in disfacimento che, tuttavia, mantiene una potenza comunicativa che sembra generata dalla sua appartenenza all’epoca in cui nasce la tragedia di Sofocle, quel grido che è esortazione a trovare la maniera per elaborare il lutto per la perdita della polis e del sacro. Con il suo messaggio potente che, come il griko, parla ancora a noi che abitiamo la contemporaneità.

«In un’epoca di macerie non c’è altra possibilità che lavorare su ciò che resta, soffiare sulle ceneri per riattivare il fuoco». E subito la nostra mente evoca il forte richiamo a quel «Lo fuec es encà ros dessot la brasa» di Dario Anghilante e Sergio Sodano, prima canzone-simbolo della consapevolezza occitana.

Parlare le lingue, lo diciamo come un mantra ripetuto continuamente, è l’unica maniera per mantenerle vive. Il regista compie dunque un’operazione salvifica, un tentativo disperato di supplicare chi ancora la parla a non lasciarla cadere. E al pubblico fa sapere che nel nostro patrimonio culturale ricco di diversità esistono anche le lingue minoritarie.

Per farlo si è avvalso della traduzione di Salvino Nucera, poeta di Chorio de Roghudi e “custode” del grecanico. Professore e scrittore, ha dato un contributo fondamentale attraverso l’attività accademica e, come autore prolifico, alla tutela e diffusione della storica lingua. Opere poetiche e romanzi in cui si muove alla continua ricerca di parole antiche che covano sotto la cenere e che lui ha chiamato “Loghia Diaforiména”, parole sparpagliate, che è anche titolo di una sua raccolta di poesie.

Per Alessandro Serra, visionario regista, fotografo all’origine e, in continuità, poeta della retina e dell’anima, il ricorso alle lingue minoritarie e la loro riproposizione, non è di oggi.

Risale al suo primo grande successo allorché utilizzò il sardo, sua lingua di origine, per mettere in scena Machbettu (Premio UBU 2017), libera riproposizione del Macbeth shakespeariano, recitata rigorosamente solo da maschi secondo la rigida regola del teatro elisabettiano.

L’idea nacque nel corso di un reportage fotografico tra gli arcaici carnevali della Barbagia animati dai suoni cupi di campanacci e antichi strumenti, pelli di animali, corna, sughero… Manifestazioni di antica tradizione in cui rimbalzano riti dionisiaci che emergono dalle tenebre del passato remoto, animati dalla potenza dei gesti e della voce, accompagnati dalla scansione perfetta dei movimenti delle danze armonicamente sintonici con i canti.
Su tutto il buio dell’inverno, contrappuntato dalle fosche maschere; e poi il sangue, il vino rosso, l’eterno scontro tra le forze della natura e l’ambiziosa presunzione dell’Uomo di dominarle. Una dimensione perfetta in cui collocare il capolavoro shakespeariano e i tipi e le maschere della Sardegna.
Il tocco magico giunge dalla lingua sarda; anche in questo caso l’italiano avrebbe riportato a letteratura quello che per Serra doveva essere canto. Sublimato dall’intervento di
Pinuccio Sciola, le cui pietre si fanno arma, nuraghe, ma soprattutto suono: la voce della Sardegna, la sua memoria taciuta per millenni.

A questi suoni si affianca quello della lingua sarda: «È la lingua di mio padre, un suono aspro, asciutto, tagliente. Una lingua cruda eppure incredibilmente musicale. Un suono che ha accompagnato le mie estati dai nonni. Quando nel 2006 andai a Lula e poi a Bitti, Orgosolo, Gavoi, inseguendo i carnevali e i canti a tenore, quel suono che un tempo capivo e che mi faceva paura risuonò in me e mi sembrò perfetto per raccontare quel tragico destino. In Shakespeare c’è la vita, non si può declamare. Le parole devono sgorgare. In italiano le traduzioni, anche le migliori, sono comunque verbose, non c’è vita scenica, non si possono dire, non c’è azione: la voce declama, il corpo tace. Con questo non voglio dire che non si possa recitare in italiano. L’ho fatto e continuerò a farlo, ma ci vuole un lavoro enorme che non possono fare i letterati. Devono farlo gli attori, perché bisogna trasformare le parole scritte in parole parlanti e parlabili».

Auspichiamo che Alessandro Serra, nel suo viaggio di artista esploratore e creativo, possa incontrare altre lingue della nostra ricca penisola per far comprendere a tutti, ma soprattutto agli ultimi, orgogliosi e ostinati parlanti, quanto sia necessario oggi, davanti alla standardizzazione e omologazione culturale consumistica su cui già Pier Paolo Pasolini mise in guardia, che si mantengano isole di diversità che sono prima di tutto linguistiche ma che si accompagnano a una resistenza culturale che indica nuovi possibili modelli di vita e di sviluppo. In alternativa a una contemporaneità che ha eretto a nuovi Dei la competizione, il mercato, il profitto, per perpetuare ingiustizie e diseguaglianze.

occitan

Tragùdia e Machbettu de Alessandro Serra

Poler auvir lo sòn de las lengas minoritàrias en defòra di lors estrechs confins territorials d’eleccion es pustòst difícil. Que’un lo pòle encontrar en tota Itàlia, da Bologna a turin, da Rimini a Sassari, da Cagliari a Génova, Parma, Savona, Roma… o en dreiçura en tota Europa es un privilège rar.

Aven abo lo projèct teatral de Alessandro Serra, que après lo sard de Machbettu esposa la lenga grecànica.

A a pena portat en scèna Tragùdia. Il canto di Edipo, liberament inspirat a l’Edip rei e a l’Edip a Colonos de Sofoclés.

Per far-lo dins la maniera pus cònsona a sa poètica a decidat de far recitar sa companhia en gric.

«L’italian – esplega l’autor, regista e scenograf – semelha abaissar lo tràgic a un fach dramàtic. Pr’aquò avem ciernut lo grecànic, lenga que encà encuei ressònas entun luenh canton d’aquela que es istaa la Magna Grecia, una faisa de tèrra que dal mar se rampinha sus l’Aspromonte en escrutant l’Etna al’orizont».

Per celebrar lo rite e lo mite, qual lengatge pus adapt? Quala melhora oportunitat se ren aquela de cerchar de produire la dimension sonòra de la tragèdia en adobrant una lenga minoritària que a de raïtz dins la Magna Grecia e que esquasi per miracle resòrg dal passat per èsser, abo continuïtat repropausaa dins lo present gràcias a una comunitat pichòta, apassionaa e orgolhosa?

La lei nacionala sus las lengas minoritàrias (n. 482/1999) a reconoissut lo gric, que l’Atlant Unesco de las lengas en pericle buta entre aquelas menaçaa pus reriament. Aquò, clarament, per lo pichòt numre di parlants, tuchi residentsdins aquela que ven sonaa la Calabria grecànica e que compren las comunas de Reggio Calabria, Bova, Bova Marina, San Lorenzo, Palizzi, Brancaleone, Roghudi, Bagaladi, Condofuri, Melito di Porto Salvo, Montebello Jonico, Motta San Giovanni, Samo e Staiti.

La professoressa Marianna Katsoyannu, professoressa de linguística generala a la Facoltà di Studi Bizantini e Neogreci de l’Universitat de Cipre, a estabilit ental 2001 que lhi ellenòfonscalabrés eron menc de 500, distribuïts esquasi entierament entre Gallicianò (ruaa de la comuna de Condofuri), Bova e Roghudi.

Abo coratge Alessandro Serra explòra donca una lenga en decomposicion que, totun, manten una potença comunicativa que semelha generaa da son apartenença a l’època ente naisset tragèdia de Sofoclés, aquel bram d’exortacion a trobar la maniera per elaborar lo dòl per la pèrdita de la polis e dal sacre. Abo sonmessatge potent que, coma lo gric, parla decò a nosautri que abitem la contemporaneïtat.

«Dins un’època de roïnas lhi a ren d’autra possibilitat que travalhar sus çò que rèsta, soflar sus las cenres per reviscolar lo fuec». E súbit nòstra ment èvoca lo fòrt recham a aquel «Lo fuec es encà ros dessot la brasa» de Dario Anghilante e Sergio Sodano, premiera chançon-símbol de la consciença occitana.

Parlar las lengas, lo disem coma un mantra repetut d’un contun, es la soleta maniera per mantenir-las vivas. Lo regista fai donca un’operacion salvífica, un temptatiu desperat de suplicar qui la parla encà e ren laissar-la cheire. E fai sauber al públic que dins nòstre patrimòni cultural ric de diversitat existon decò las lengas minoritàrias.

Per far-lo s’es valgut de la traduccion de Savino Nucera, poèta de Chorio de Roghudi e “gardian” dal grecànic. Professor e escritor, a donat un contribut fondamental a travèrs l’activitat acadèmica e, coma autor prolífic, a la tutèla e difusion d’aquela lenga estòrica. Òbras poèticas e romanç ente se boja a la cuntínua recèrcha de paraulas anticas que coon dessot la cenre e que nele a sonat “Loghia Diaforiména”, paraulas espanteaas, que es decò lo títol d’un siu recuelh de poesias.

Per Alessandro Serra, regista visionali, derant fotograf e, en continuitat, poèta de la rétina e de l’ànima, lo recors a las lengas minoritàrias e lor reproposicion, es ren d’encuei.

Remonta a son premier grand succès, quora a adobrat lo sard, sa lenga d’origina, per butar en scèna Machbettu (Premio UBU 2017), libra reproposicion dal Macbeth shakespearian, recitaa rigorosament masque da de masqui second la rígida règla dal teatre elisabetian.

L’idea es naissua durant un repotatge fotogràfic entre lhi antics carlevars de la Barbagia animats da lhi sòns sombres de rodons, antics enstruments, pels d’animals, còrns, nata… Manifestacions ente redondon de rites dionisiacs que emèrjon da las ténebras dal passat luenh, animats da la potença di gèsts e de la vòutz, da escansion perfècta di moviments de las danças armonicament sintònics abo lhi chants.

Sus tot l’escur de l’uvèrn, contraponchat da las màsquelas sombras; e après lo sang, lo vin ros, l’etèrn escòntre entre las fòrças de la natura e l’ambiciosa presompcion del l’Òme de dominar-las. Una dimension perfècta ente plaças lo cap d’òbra Shakespearian e lhi tipos e las màsqueras de la Sardenha.

Lo toch màgic arruba da la lenga sarda; decò ent aqueste cas l’italian auria reportat a de leteratura çò que per Serra devua èsser de chant. Sublimat da l’intervent de Pinuccio Sciola, dont las peiras devenon arma, nuraghe, mas sobretot sòn: la vòutz de la Sardenha, sa memòria tasua per de miliers d’ans.

A aquesti sòn s’arramba aquel de la lenga sarda: «Es la lenga de mon paire, un sòn aspre, eissuch, talhent. Una lenga crua mas inclediblament musicala. Un sòn que a acompanhats mi istats da mi ieis. Quora ental 2006 siu anat a Lula e après a Bitti, Orgosolo, Gavoi, en enseguent lhi carlevars e lhi chants a tenor, aquel sòn que un temp capiu e que me fasia paor a ressonar dins mi e m’es semelhat perfèct per racontar aquel destin tràgic. Dins Shakespeare lhi a la vita, se pòl pas declamar. Las paraulas devon gesclar. En italian las traduccions, decò las melhoras, son verbosas, lhi a pas de vita scènica, se pòlon ren dir, lhi a ren d’accion: la vòutz declama, lo còrp tais. Abo aiçò vuelh ren dir que se pòle ren recitar en italian. L’ai fach e continuarei a far-lo, mas chal un travalh enòrme que pòlon pas far lhi leterats. Lo devon far lhi actors, perqué chal transformar las paraulas escrichas en paraulas parlantas e parlablas».

Nos augurem que Alessandro Serra, dins son viatge d’artista explorator e creatiu, pòle encontrar d’autras lengas de nòstra richa penísola per far comprene a tuchi, mas sobretot a lhi darriers, parlants orgolhós e obstinats, qué tant chale encuei, derant a l’estandardidacion e l’omologacion culturala consumística sus la quala aviá já butat en garda Pier Paolo Pasolini, que se mantenen d’ísolas de diversitat que son derant tot linguísticas mas que s’acompanhon a una resistença culturala que índica de nòus possibles modèls de desvolopament. En alternativa a una contemporaneïtat que a erijut a nòus dius la competicion, lo marchat, lo profit, per continuar d’injustícias e de disparitats.


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