È triste oggi, in assenza di una visione politica e di un autentico progetto di futuro, essere costretti a citare esempi del passato, ma ci fu un tempo in cui gli uomini delle Valli, mossi da spirito di indipendenza, seppero battersi per il pensiero libero. E pensare che in questi nostri anni, le Valli, impoverite dal salasso dell’emigrazione che ahimé le ha private di una classe dirigente capace, avrebbero quanto mai bisogno di lavorare con spirito unitario a un progetto di rinascita, mentre sembrano perdersi in particolarismi e visioni ristrette, e si mostrano incapaci di elaborare un pensiero moderno e originale.
Dalle pagine facebook di Mariano Allocco di Prazzo, protagonista di tante battaglie per la rinascita delle Valli Occitane, traggo questi due esempi.
Libera Chiesa in libero Stato a San Michele di Prazzo
Ci fu un tempo non lontano, in cui le comunità alpine non avevano riserve nel prendere posizione in campo politico e la facciata dell’ex Municipio di San Michele di Prazzo ne è testimonianza.
“Libera sia Roma, l’Italia e il Mondo, poi la morte ci riconduca a Dio”, questa scritta laica campeggia dal 1864 sulla facciata dell’ex municipio di fronte alla chiesa parrocchiale a San Michele di Prazzo, in alta val Maira.
Chi passa, turista o valligiano che sia, per solito ne dà una lettura folcloristica, quassù non si è più abituati ad affermare perentoriamente le proprie idee.
La storia del vissuto alpino ora viene declinata all’insegna del folclore, mentre la Politica Montana da qualche decennio ha posto la sua centralità sull’ambiente, non più sull’uomo che quell’ambiente vive.
Eppure proprio quella scritta dovrebbe far riflettere!
Era il 28 agosto 1864, sei anni prima della Breccia di Porta Pia, aperta nelle mura di Roma in un XX settembre 1870, ora dimenticato, quando il Consiglio comunale di San Michele, presieduto dal sindaco Lando Giacomo, deliberò di “illustrare gli uomini celebri della nostra età, i quali favorirono il moto italico… si convenne di doversi dipingere due figure al naturale rappresentanti l’una l’Italia, l’altra il Re e … parimenti dipingere due figure col solo busto, rappresentanti il Conte Camillo Cavour e il Generale Lamarmora, i quali favorirono il moto italico”.
Regnanti Vittorio Emanuele e l’ultimo Papa Re, per i montanari di allora era chiara la separazione della gestione della cosa pubblica da quella delle anime e quali erano le “figure” che rappresentavano l’italianità in cui si riconoscevano.
Quella facciata testimonia un tempo in cui nelle Valli si aveva coscienza del proprio destino e del peso che il Monte aveva nel contesto nazionale.
Un tempo in cui le Parti quassù si confrontavano come altrove in una Italia che usciva dal Risorgimento e la Politica, sul Monte, era vissuta come in pianura, cosa che ora non è.
Se il parroco aveva deciso di ornare la facciata della chiesa con figure di fede, sul lato opposto della piazza il palazzo comunale esponeva un messaggio laico e politico. Le Parti si confrontavano senza remore.
Ovvio che, in un tempo in cui il confronto politico scaldava gli animi, come in ogni altra parte d’Italia, la decisione nel Consiglio Comunale non fu presa all’unanimità e anche questo testimonia il sano dibattito tra opposte ipotesi.
Questo succedeva centosessanta anni fa, ora quale Comune penserebbe qualcosa del genere? Quali sarebbero, poi, gli “uomini celebri della nostra età” da raffigurare ora?
Alcuni argomenti nei Comuni montani sono diventati indiscutibili, possono essere solo oggetto di plauso e condivisione mentre le voci dissonanti sono derise, se va bene, altrimenti catalogate come errori se non orrori.
Dagli anni ’70 per la Politica nelle Valli si è affermato un approccio ecumenico, meglio evitare gli schieramenti che si affermano nel resto della Nazione.
La deriva ultima, che ha visto la soppressione delle Comunità Montane e l’introduzione del metodo maggioritario sia nei Comuni che nelle Unioni Montane, non fa che minare ulteriormente le istituzioni.
Se il Monte vuole uscire da una deriva eterodiretta, da altri decisa, bisogna che riprenda in mano le redini del proprio destino e la strada è una sola, è la strada maestra della Politica.
Di qualche secolo prima è un altro esempio, sempre in val Maira.
Dagli statuti di libertà alla normalizzazione sabauda
Nel 1588 Carlo Emanuele I conquista il Marchesato di Saluzzo e chiede alla Valle Maira un atto di fedeltà, che sarà consegnato dai due Consoli della Valle nelle mani della moglie, Catalina Micaela, figlia di Filippo II re di Spagna, il 27 settembre 1589.
Il documento mostra quale era lo spirito con cui la Valle si confrontava col il nuovo sovrano, unica valle del Marchesato che si oppose in armi al Savoia.
L'Infanta accettò le prime due richieste, la terza, quella di "confermar a quelli della religione pretenduta reformata di viver in libertà di loro coscienza..." fu rimandata al "buon voler di S. A.", di questo se ne occuparono i Cappuccini dall'anno dopo.
La Valle allora aveva un suo esercito: quattrocento uomini si opposero per giorni alle Porte di Lottulo alle truppe sabaude, formate per la quasi totalità da mercenari catalani che parlavano la stessa lingua dei valligiani.
Finito il conflitto alcuni si fermarono, a San Martino di Stroppo uno di loro costruì un mulino a vento, che rimase in funzione per tre secoli.
Con la Pace di Lione del 1601 viene riconosciuta la sovranità dei Savoia sul Marchesato, uno degli articoli disponeva che sarebbero state mantenuti accordi e usanze precedenti alla conquista.
L’anno dopo però Carlo Emanuele infeudò tutta la valle, meno Elva, infeudata solo nel 1610.
Tre Comuni, Prazzo, San Michele e Ussolo, ricorso al tribunale internazionale di Ginevra, ricorso che venne respinto “avendo il sovrano operato per interesse superiore”, anche quella volta prevalse sugli accordi sottoscritti lo “stato di eccezione”.
Nel 1610 Elva venne infeudata ad Antonio Alinei (o Allinei), che assunse il titolo di Conte. Lo stemma di quella famiglia è quello ancora oggi riportato sul vessillo di Elva.
Gli Allinei erano originari di San Michele, il padre di Antonio, Giovan Ludovico, si trasferì a Dronero verso la fine del 1500 e ne divenne Podestà, fu anche capo del partito cattolico, mentre la Valle, proprio per marcare la distanza dai Savoia, passò in gran parte al Calvinismo.
Anche ad Elva il Calvinismo si propagò, i rintocchi di una campana ugonotta sulla cappella della frazione Grange ne sono testimoni.
Infeudare Elva a un cattolico era un segnale chiaro, la “normalizzazione” della Valle fu affidata dal Savoia ai Cappuccini, per tre anni furono impiccati quelli definiti “pretenduti riformati”, poi si procedette “con metodi virili” nei confronti semplicemente di “banditi”, ma questa è un’altra storia.
(…)
Quando il primo feudatario che venne in Valle fu trovato in un formicaio, Carlo Emanuele raccomandò loro di “rimanere nelle loro abituali dimore e non risalire la Valle Maira, abitata da gente infida e crudele”.
Una di quelle famiglie prese il nome del Comune infeudato, il generale Alessandro Lamarmora (La Marmo in occitano) fondò il corpo dei Bersaglieri, il fratello Alfonso comandò i piemontesi nella guerra di Crimea.
L’ultima volta che a Stroppo si riunì la Congrega di Valle, assemblea dei Sindaci dei 12 Comuni, fu nel 1640, la “normalizzazione” sabauda durò un paio di decenni, ma gli Statuti in base ai quali la Valle si era governata dal XII secolo, non sono mai stati abrogati, l'Infanta, a nome di Carlo Emanuele, aveva accettato di mantenerli in vigore!
“Autris temps autra gent”, mas (conclude Allocco) “apres un temps ne ven n’autre. Autras gents an viscut la val Maira, autras gents la vivaren”.
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