Questa intervista è una versione corta dell’articolo completo pubblicato su Lo Diari nº75 “La traduccion, novèla creacion?” il 17 ottobre del 2023. Ringraziamo tutto Lo Diari, l’autore dell’articolo e il Capo-Redattore Danís Chapduèlh che ci permette di condividerlo con i lettori di Nòvas d’Occitània. La versione completa è disponibile a pagamento per gli abbonati a Lo Diari.
Si sta aprendo una strada verso l’Italia per la letteratura occitana? Se è così Monica Longobardi fa sicuramente da maestra! Passata per le università italiane (Pisa, Roma, Siena, Ferrara), dove ha appreso, prima di insegnarle, la letteratura medioevale, la retorica, la dialettica, la filologia romanza, la traduzione; inizia a interessarsi a poco a poco alle lingue minoritarie. Nel 2015 inserisce lo studio della letteratura occitana nei suoi corsi, e incontra autori contemporanei come Joan Ganhaire. Così nasce “Voi che mi avete uccisa”, traduzione in italiano del suo romanzo poliziesco “Vautres que m’avetz tuada” (IEO Edicions, 2013).
A giugno, Monica longobardi viene premiata col Premio Traduzione 2023 a Ostana per questo lavoro e per i suoi sforzi nel far conoscere la letteratura occitana in Italia.
Pensa che ci sia posto per la letteratura occitana in Italia?
Lo spero. Di fatto, per ora solo io ho inserito lo studio della letteratura occitanica dei secoli XIX-XXI, all’interno dei corsi di Filologia Romanza presso l’Università degli Studi di Ferrara, dal 2015 al 2021. Ho diretto tesi (si leggono sul sito tesi-on line della Chambra d’Òc) ed una in particolare, su Marcela Delpastre, curata da Costanza Amato, ha meritato il Premio Pèire Bec. Ho organizzato a Ferrara un convegno Internazionale nel 2018 con studiosi italiani (oltre me, Matteo Rivoira, dialettologo dell’Università di Torino, che studia e insegna l’occitano alpino) e occitani (Jean-Yves Casanova, Joëlle Ginestet, Estelle Ceccarini, Olivier Pasquetti etc). Oggi sono in pensione, ma continuo ad occuparmi di occitano. Purtroppo, dopo il mio pensionamento, nessuno ha proseguito l’insegnamento della letteratura occitanica moderna e contemporanea all’Università di Ferrara.
Perché ha scelto di tradurre Joan Ganhaire?
Ho conosciuto Joan Ganhaire al Festival delle lingue madri di Ostana 2016. In seguito l’ho invitato all’Università di Ferrara e sono stata sua ospite a Bourdeilles, in Dordogna, dove vive e ambienta i suoi racconti. Come scrittore, stimo molto il suo stile e la profondità, mista ad un gradevole umorismo, con cui esamina e raffigura l’umanità. Grazie al suo temperamento, mette molta passione nell’insegnare e divulgare la sua lingua regionale. Generosità che ha riservato anche a me, aiutandomi nell’impresa di tradurre il suo poliziesco Vautres que m’avetz tuada (Voi che mi avete uccisa, Virtuosa.Mente, 2021). Non finirò mai di ringraziarlo.
È stata una sfida passare dal lemosino all’italiano?
La varietà linguistica limosina è particolarmente ostica anche per un italiano che abbia qualche competenza di occitano. Ho avuto non poche difficoltà a tradurlo. Inoltre, un’opera letteraria usa un linguaggio metaforico e la prosa di Ganhaire attinge a molte frasi idiomatiche che colorano il suo stile, ma sono una croce per chi deve tradurre. Ganhaire stesso mi ha spiegato molte delle sue espressioni e dei modi di dire, altrimenti non sarei riuscita a terminare il mio lavoro.
Quale metodo le ha consentito di tradurre la prosa e lo spirito di Ganhaire?
Ha patito la mancanza di dizionari? Si è avvalsa del francese?
Non esiste versione francese dei polizieschi di Ganhaire (come di gran parte della sua opera). Inoltre, ideologicamente, sarebbe un tradimento servirsi della versione francese, se si vuole valorizzare la lingua occitana. Io stessa, d’accordo con l’editrice, ho mantenuto la versione limosina a fronte della traduzione italiana. Inoltre ho approntato un apparato di note per spiegare il lessico e la fraseologia usati da Ganhaire.
Mi sono servita dei dizionari classici, oggi on-line (dicod’òc – Lo Congrès), e di quelli specifici di Yves Lavalade per questa area linguistica, ma mancano dizionari fraseologici all’altezza del compito.
Pensa che la letteratura occitana si debba tradurre in altre lingue che non il francese perché esca dal suo spazio ristretto?
Ovviamente. La lingua occitana è capace di esprimersi pienamente, e in completa autonomia, nei vari generi letterari ; deve anzi emanciparsi da una lingua-ponte quale il francese che, mentre ne divulga i contenuti, la cannibalizza. Riguardo all’italiano, e vale per le altre lingue romanze, il suo apprendimento è favorito dalla comune origine latina.
L’editoria italiana, a mio avviso, sarebbe interessata a scoprire nuove letterature e nuove realtà, e l’Occitania in particolare, con la sua storia, il suo paesaggio, la sua lirica medievale che tanto ha influito sulle origini della nostra letteratura, esercita già un grande fascino. Penso quindi che anche la letteratura successiva al medioevo, e in particolare quella moderna e contemporanea, conterebbe molti lettori in Italia, come in altri Paesi. Mancano o vanno rafforzate le sedi dove insegnarla, dove formare degli esperti di lingua occitana moderna, e dei bravi traduttori, ma questo l’Università italiana, con l’eccezione di Matteo Rivoira, ancora non lo fa.
Monica Longobardi
commenta