Nevicava molto in quel tardo pomeriggio del mese di dicembre; scendeva fitta fitta e tutto era sparito in un chiarore lattiginoso. Si era verso Natale e faceva freddo. Il camino della cucina si era quasi spento, rimaneva appena un po’ di brace, rossa. Sarebbero state sufficienti un po’ di rametti per riaccenderlo, perché il fuoco riprendesse a bruciare.
Dall’altra parte della cucina, nella stalla le vacche scuotevano la testa tirando le catene della mangiatoia. Avrebbe dovute accudirle, somministrarle il fieno, preparare il pastone e mungerle.
Nella stalla aveva pure qualche capra e un paio di pecore, che avevano partorito da un paio di mesi. Gli agnelli stavano poppando le loro madri.
Capre e pecore erano in uno spazio delimitato da due graticci con una piccola mangiatoia e attendeva anche queste la loro razione di cibo.
Michele tuttavia non aveva voglia di accudirle ma era suo dovere farlo, voleva troppo bene a quelle bestie per non badare ad esse in maniera adeguata. Tuttavia alle volte si sentiva stanco di fare quel lavoro. Per chi lo faceva, pensava, per chi ? Comunque era andato nel fienile dove vi era il mucchio di fieno. Dietro alla porta vi era una forca e iniziò a buttare in basso attraverso la botola il buon fieno che aveva raccolto l’estate passata. Ogni forcata gli faceva ricordare il prato dove era stata tagliata quella buona erba di montagna, che odorava dei fiori della sua valle, della sua baita lassù a Champ Primier. Quello che dominava era il profumo del serpillo, che lassù cresceva abbondante. Come era bello vedere in primavera l’erba alta e verde dei suoi prati dell’Estrangolhon, del Chaminet.
Quell’estate quassù era stata l’ultima per suo figlio che da qualche mese ormai aveva lasciato il suo paese e la sua famiglia.
Aveva deciso di scendere in città, di abbandonare la campagna, di lasciare suo padre Michele e sua madre Lena. Aveva pure due sorelle, Teresa e Caterina sposate da anni e abitanti fuori dalla valle.
Dare torto a suo figlio ? Aveva trovato un buon lavoro, in pianura. Un lavoro in una fabbrica dove si costruivano le ruote per le auto. Ma dopo una settimana di lavoro, soprattutto ora che faceva freddo, sapeva che che suo figlio non aveva molta voglia di salire lassù. Forse la casa si sarebbe riempita per Natale, forse per il Capodanno o per l’Epifania. Forse.
La nevicata ormai era diventata una tormenta che impediva di vedere a pochi metri. All’indomani avrebbe tribolato per tracciare la pista per giungere alla strada, nella speranza che il comune avesse fatto transitare lo spazzaneve.
La sua famiglia era l’ultima rimasta nella borgata; le altre avevano traslocato da qualche anno. In primavera saliva la famiglia di Filiberto e quella della Nora, che rimasta vedova aveva raggiunto i suoi due figli. Quando giungeva la buona stagione salivano per preparare i loro orti, dare aria alle loro case, pure altri del villaggio e pure qualche villeggiante che aveva acquistato e ripristinato qualche casetta.
Si, per l’estate il villaggio si riempiva e faceva piacere vedere tutta quella gente. Ma ora con la bufera che faceva vorticare la neve che si ammucchiava in grossi cumuli, non c’era da essere allegri.
Mentre preparava il pastone per le sue vacche con acqua tiepida e farina di mais, e pensava a tutte queste cose, aveva sentito battere all’uscio, due tre colpi, si qualcuno bussava. Moret, il cane aveva iniziato ad abbaiare. Chi poteva essere che giungeva in una serata come questa. Fuori era scuro e la neve cadeva e copriva tutto.
«Chi bussa ?» ha chiesto Michele
«Bogin, Bogin.» Aperto l’uscio ha visto un piccolo uomo, tutto coperto di neve, con un lungo cappotto che gli giungeva sino ai piedi, un vecchio zaino sulla schiena.« Chi siete ?» «Bogin», ha detto il piccolo uomo. Lo ha fatto passare nella stalla, dove tranquilli gli animali stavano mangiando il loro fieno. L’uomo si è tolto il cappotto, bianco di neve, lo ha scosso per farla cadere, lo ha buttato sul graticcio del recinto delle capre e si è lasciato cadere, stanco, sul fogliame ammucchiato. Moret lo ha annusato un poco e quindi andò ad accucciarsi sulla paglia ch’era in fondo alla stalla.
«Lena, Lena vieni qui.» Lena è arrivata subito e visto quel piccoletto, ha guardato suo marito: lo conosci ? Non l’ho mai visto. Prendi in fretta un bicchiere di acquavite, per rinvigorirlo un poco.
Dall’armadio a muro della cucina Lena prese la bottiglia dell’acquavite e un bicchierino.
Prendete buon uomo e raccontateci del perché siete salito sin qui a bussare alla nostra porta.
L’ometto a preso in mano il bicchiere, lo ha bevuto in un attimo, si è asciugato la bocca con la mano e quindi a detto: « Grazie di aver aperto la vostra casa a un poveraccio come me. Venivo qui già tanti anni fa, c’era ancora vostro padre che lavorava in miniera e vostra mamma Serafina accudiva la casa. Mi avevano già ospitato all’epoca e dato un posto caldo dove passare la notte.»
«Ma i miei genitori sono mancati già da molti anni, brav’uomo e non mi ricordo di Voi», disse Michele.
«È vero ! Eravate un giovane che pensava solamente alle ragazze della valle e poi i vostri genitori volevano farvi lavorare in campagna e questo non vi piaceva molto. Questo lo so. Preferivate sbevacchiare e far festa con gli amici che aiutare la vostra famiglia. E vostro padre lavorava sodo e penava per quattro soldi e mangiava polvere. Non è forse morto di silicosi ? Non si chiamava Pietro Antonio,….si vedete che ne so di cose sulla vostra famiglia !
Passavo ogni tanto e qui ho sempre trovato una piattata di minestra, un pezzo di pane e un bicchiere di vino. E non solo ciò, anche una parola buona, un buon viaggio e un arrivederci. Vostra mamma Serafina non mi lasciava mai andar via senza darmi un vasetto di miele, di marmellata, un salame, una pagnotta e ora nel mio viaggiare mi sono ritrovato qui in questo villaggio coperto di neve ma ho visto il camino che fumava e odorato quel buon profumo del legno che brucia.»
Lena intanto era andata a prendere un asciugamano e aveva aiutato l’uomo a togliersi le scarpacce e la giacca anche questa bagnata.
Michele e Lena avevano ancora l’abitudine, nella cattiva stagione, nella stalla, di preparare vicino alla finestra un assito dove era sistemata una stufa, tavolo, sedie, un letto e contro il muro si realizzava in paglia e rami una parete mobile per contrastare l’umidità.
Le vacche e gli altri animali riscaldavano la stalla e la stufa era necessaria per cucinare. Il mangiare cuoceva a fuoco lento visto che i due sposi non avevano premura e quando era cotto si mangiava. Le giornate passavano tranquille e con l’aiuto del Buon Dio si tirava avanti.
Lena prese le scarpacce e le mise vicino alla stufa. «Siete bagnato come un pulcino brav’uomo. Aspettate che vado a cercare qualcosa di caldo da mettervi addosso.»
Michele fece sedere Bogin vicino alla stufa senza chiedere nulla. Prese una coperta qu’era su di una panca e gliela mise sulle spalle.
Bogin stese le mani verso il fuoco e iniziò a sfregarsele . «Va un po’ meglio? Ora il peggio è passato. Siete al riparo. Non bisognerebbe mettersi in viaggio e a piedi in una giornata come questa. Neppure i lupi mettono fuori il loro muso dalle loro tane ! E poi dove volevate andare, che da queste parti non c’è più nessuno ?»
«Viaggio sempre, un po’ qui, un po’ la, dove mi portano i miei passi.»
«Ma non avete una casa, una famiglia che vi aspetta?»
«La mia famiglia è tutto il mondo ( la gente) e tutto il mondo è casa mia» rispose Bogin.
Michele pensò che Bogin volesse scherzare ma lasciò perdere e non fece altre domande. Se voleva chiacchierare e raccontare ne avrebbe avuto tutto il tempo.
Lena intanto aveva messo i piatti colmi di minestra bollente in tavola, una pagnotta, del salame, del formaggio grasso. Mangiarono. Il pover uomo mangiò con appetito, bevve qualche bicchiere di vino e pure un buon caffè. Lena aveva in serbo una sorpresa, un dolce che aveva preparato nel forno della cucina: una mela zuccherata cotta nella pasta del pane . Una leccornia !
«E’ dolce come la melassa ! Complimenti Lena, siete una brava donna di casa, il vostro Michele non può certo lamentarsi ! » «State tranquillo, non si lamenta, In questi giorni è un po’ afflitto poiché i nostri figli sono lontani e non sappiamo se saliranno per natale o per le feste del capodanno. Alla nostra età abbiamo bisogno di vedere gente e la nostra famiglia è tutto ciò che abbiamo.»
Bogin non finiva più di elogiare Lena per la cena e per tutto ciò che aveva fatto per lui ma poi si fece serio e guardando Michele e Lena negli occhi e prendendogli le mani nelle sue gli disse: «Michele, Lena siete una coppia fortunata perché i vostri figli vi vogliono bene. Verranno per le feste, state tranquilli, non sarà il ghiaccio e la neve che li terranno lontani dalla loro famiglia.»
«Bogin, come potete dire questo, non sapete nulla di loro, non li conoscete !»
«Avete ragione, non li conosco ma so, sento che sarà così.»
La giornata era stata lunga e piena di avvenimenti, era ora di andare a dormire.
Lena e suo marito avevano anche li il loro letto. La stalla era calda, gli animali ruminavano tranquilli. Bogin andò a mettersi sul fogliame con un paio di coperte e un cuscino. Fuori la neve cresceva sempre di più, all’indomani avrebbero trovato un bello strato di neve.
Un debole chiarore rischiarava la valle. La neve tuttavia aveva smesso di scendere. Tutto era bianco e si sentiva lontano l’abbaiare di un cane.
Bogin si era già alzato, aveva tratto dallo zaino un pettine e si era messo un po’ in ordine come aveva messo in ordine le sue misere vesti.
Michele aveva iniziato a governare le vacche, aveva tolto il letame, messo la paglia. Le mammelle erano gonfie di latte. Lena seduta su di uno sgabello aveva iniziato a massaggiarle, poi a mungerle e gli schizzi del latte avevano iniziato a riempire il secchio.
Michele aveva acceso la stufa, preparato la caffettiera, messo delle scodelle e dei cucchiai sul tavolo. Bogin stava rivestendosi con i suoi abiti, ormai asciutti, Aveva chiesto un po’ di grasso per ungere i suoi scarponi, per poter così camminare nella neve.
Avevano fatto colazione, latte. caffè, un pezzo di pane. Era ora per Bogin di andarsene. Lena aveva messo un po’ di cose da mangiare nello zaino, una camicia di suo marito quasi nuova, un paio di pantaloni del figlio che all’ometto sarebbero andate bene. Michele prese da una scatola di ferro a fiori, dove conservava qualche soldo. Prese un biglietto di banca: « Bogin, è per Voi, se ne avrete bisogno, almeno avrete qualcosa che vi possa sollevare ma se volete potrete restare qui per un po’ di giorni, siete il benvenuto.»
«No grazie, devo riprendere il mio viaggio, ho ancora molta strada da fare per raggiungere la mia famiglia.» Abbracciò i due sposi e se ne andò al suo destino.
Un agrifoglio che cresceva all’angolo dell’orto, rosso di bacche, riparava un mucchio d’uccelli in cerca di cibo; uno scricciolo usciva dal fascinaio che era dietro alla casa dove aveva trovato un ricovero per la notte.
Michele guardò Bogin che solcava la neve alta e farinosa, passo dopo passo, poi sparì nella nebbia; allora solamente allora rientrò in casa.
Quando terminò di accudire i suoi animali, prese la pala, quella bella e larga, ben ingrassata . Iniziò a spalare verso la strada seguendo le pedate lasciate da Bogin ma ad un certo momento le tracce scomparvero. Non una traccia nella neve. Lo strato era liscio, nessuno era passato di li.
Stupito per ciò che aveva visto andò a cercare sua moglie.« Lena, chi è quel Bogin ? Non ha lasciato delle tracce nella neve, non riesco a capire. Anche se piccolo è un uomo o è un angelo che è volato in cielo. Lena dimmi !»
Lena non sapeva ciò che dire. Era accigliata e stupita, non capiva. Anche Michele era stupito per ciò che era successo. Quanti anni poteva avere quel Bogin, aveva conosciuto suo padre, sua madre. Era difficile attribuirgli un età. Ecco, ne giovane, ne vecchio ma doveva avere parecchi anni. I due poveretti ci pensarono lungamente senza riuscire a comprendere l’enigma.
Dopo qualche giorno giunse Natale. E arrivò tutta la famiglia di Lena e di Michele. E raccontarono tutti d’aver visto un ometto, un piccoletto con uno zaino sulle spalle e un paio di scarpacce ai piedi, nelle città dove abitavano che gli aveva sorriso e salutati e che gli aveva trasmesso la voglia di ritornare al loro villaggio per Natale, abbracciare la Lena e il Michele. Dal cielo un angelo sorrideva.
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