INTERVISTA A Blanca I. Fernández Quintana
a cura di Mariona Miret
Mariona Miret • Blanca, scrivi da più di dieci anni, hai vinto premi letterari e hai pubblicato tre romanzi in asturiano (e innumerevoli racconti, inediti) a soli 29 anni. Da dove nasce questa passione per la lingua? Come è nata la Blanca scrittrice?
Blanca I. Fernandez Quintana • Sono nata a Bimenes, comune delle Asturie, dove si usa l’asturiano normalmente. L’asturiano è la mia lingua madre. Ho iniziato a scrivere da bambina, nei tipici concorsi letterari a scuola e al liceo - come è capitato a molti scrittori. Mi piace scrivere, ma prima di tutto mi è sempre piaciuto leggere, fumetti e romanzi. Quando mi sono dedicata alla narrativa, i generi prediletti erano il fantasy, la fantascienza e l’horror, motivo per cui oggi il mio lavoro generalmente si rivolge a questi generi.
Nel 2012 ho iniziato a collaborare con la rivista Formientu. In quegli anni ho vinto premi per alcuni racconti, ma iniziati gli studi universitari non ho più scritto per alcuni anni (sono filologa classica, e il mio tempo lo passavo traducendo latino e greco antico e leggendo opere in queste lingue). In seguito ho ripreso a scrivere veramente tanto, quasi sempre romanzi. Nel 2021 ho pubblicato L’home les caparines; quell’anno ho vinto il Premio Radagast con Trovadoresca e con No que cinca los seres de lleenda il Premio I Enriqueta Rubín per la narrativa giovane. Poi, nonostante mi fossi ripromessa di prendermi una pausa, ho scritto El Cartafueyu d’Alquimia, con il quale ho vinto il XV Premio María Josefa Canellada. Quest’ultimo riconoscimento è stato molto importante per me, poiché credo che la letteratura giovanile sia uno strumento per avvicinare le nuove generazioni alla lingua e alla letteratura. Ora sto esplorando nuove leggende, specialmente in riferimento all’horror e alla fantascienza.
MM • Mi vuoi dire qualcosa di più?
BFQ • Ho letto opere come Lleendes de Terramar (Ursula K. Le Guinn), Entrevista col vampiru (Anne Rice), La guerra de les bruxes (Maite Carranza)... In asturiano c’è molta letteratura per bambini, mentre per giovani non c’è quasi nulla, e pochissimo come horror e fantascienza, anche se devo dire che i pochi titoli sono di grande qualità: soprattutto Invisible d’Aique Fernandi, Khaos de Dolfo Camilo o la trilogia de Fontenebrosa.
Ora penso che ci sia una domanda per questo tipo in letteratura, e ci sia anche un desiderio di varietà nell’offerta. Penso infine che la domanda di generi letterari come l’horror e la fantascienza sia crescita anche per l’influenza delle serie televisive tra i giovani.
MM • Quali leggende, quali visioni del mondo e valori derivano dalla mitologia asturiana? Pensi che le minoranze linguistiche e in particolare l’asturiano siano legate a un particolare modo di vivere la terra e la natura?
BFQ • La mitologia asturiana, così come tutte le mitologie, era uno strumento per spiegare fenomeni ed eventi diversamente inspiegabili. Per dare un volto, una ragione (magica e soprannaturale) a questi fenomeni. Il cristianesimo riuscì a scoraggiare questo genere di credenze. Poi, quando arrivarono la radio e la televisione, una maggiore apertura al mondo e le spiegazioni razionali dei fenomeni fisici, le persone smisero di crederci. Se ti rivolgi agli anziani dei nostri paesi, ti raccontano ancora storie di apparizioni della Güestia e storie che parlano di esseri mitologici sconfitti. Nei villaggi delle Asturie sono ancora molto forti le credenze legate alla natura, alla superstizione, alla magia. Devo anche sottolineare che la mitologia asturiana è stata a lungo etichettata come infantile, quando in realtà essa, semplicemente, esprimeva una visione del soprannaturale nel mondo pre-cristiano. Oggi la mitologia può essere fonte di ispirazione, suggerire una visione oltre il reale, suggerire approcci letterari innovativi.
MM • Qual è l’atteggiamento dei giovani verso la lingua asturiana?
BFQ • Appartengo a una generazione che l’ha studiata a scuola. Quindi, noi giovani la vediamo in modo diverso rispetto a coloro che ci hanno oreceduto. Direi che non c’è difficoltà a usarla tra persone della mia età. A scuola non abbiamo subito nessun divieto, così ci siamo naturalmente collegati a chi con le sue lotte aveva contribuito a promuoverne la conservazione e la diffusione. Il risultato è che i giovani continuano a promuovere la lingua, fanno sì che l’asturiano sia anche su YouTube e su altre piattaforme, e non solo in campo accademico, letterario o familiare. Il passaggio ai media digitali è stato molto importante e ne ha favorito la visibilità.
MM • So che sei coinvolta nelle cause sociali...?
BFQ • Il XX secolo è stato quello del risorgimento in letteratura, ma oggi manchiamo ancora di molte opere, traduzioni e generi. Ciò che serve è socializzare l’asturiano in tutte le sfere della società. Uno dei campi in cui bisogna lavorare è certamente l’audiovisivo. Abbiamo ancora molta strada da fare e non mi stanco di dire che, ad esempio, abbiamo bisogno di sviluppare il settore del doppiaggio.
MM • Ti preoccupa la visibilità delle donne nella letteratura asturiana e nella società in generale? L’esclusione del femminile in molte letterature europee (anche tra quelle in lingua minoritaria) tuttavia sta ritrovando un certo equilibrio. Vengono pubblicate antologie che recuperano queste voci invisibili...
BFQ • È una cosa che mi preoccupa e al tempo stesso mi fa arrabbiare.
L’invisibilità delle donne si manifesta in tutti i tipi di letteratura e ancora più nella letteratura di genere. Il caso asturiano è particolare perché sono poche le donne che scrivono romanzi in asturiano. Ogni anno escono pochi romanzi scritti da donne: uno o due… C’è chi dice che ciò sia dovuto al fatto che le donne hanno meno tempo, o meno interessi, ma credo che ci siano lettori che non amano romanzi con una prospettiva di genere. In poesia le cose vanno un po’ meglio, mentre nei saggi troviamo una situazione molto simile. Per qualche ragione nei concorsi letterari asturiani, gli uomini tendono a emergere di più delle donne. Nel 2017, la XXXVIII Selmana de les lletres asturianes è stata dedicata alle donne ed è stata pubblicata l’antologia Muyeres y letres, che comprendeva il lavoro di autrici sia in asturiano che in galiziano-asturiano. C’è anche un documentario intitolato Elles: muyeres na lliteratura asturiana. Entrambe le opere mostrano che le Asturie hanno scrittrici donne di grande qualità.
TESTO ASTURIANO
EUTOPOS
Blanca I. Fernández Quintana
Y nengún d’aquellos viaxeros foriatos yera a pescanciar lo qu’aquella reunión diba significar.
“El mundu nel que nos tocó vivir nun ye’l que describíen los nuesos antepasaos: un mundu nel que la teunoloxía yera pa toos, nel que la llectricidá nun yera llimitada, nel que nun faltaba nada, nel que les grandes ciudaes yeren l’aliendu de la civilización humana…, esi mundu yá nun esiste. El nuesu mundu, yá lo sabéis, ye diferente.”
Ún de los viaxeros entamó a falar asina, ensin causar sorpresa dala nos sos oyentes.
“Y nun foi nenguna enfermedá inesplicable, nun foi eso que conocemos d’oreya nomao cambéu climáticu…foi’l propiu ser humanu. Matáronse unos a otros y casi maten esta tierra.
Los historiadores nómenlo Tercer Guerra Mundial, pero la xente conozlo como Los Cincuenta: porque foron cincuenta años d’una macroguerra y más de cincuenta naciones les que puxaron pol poder nella, de les qu’anguaño yá poco queda. Dicen qu’había más de seis mil millones de persones y agora nun sabemos nin si habrá cien millones
De los grandes países lléguennos nomes: China, India, Estaos Xuníos,…tarrén ermu, ensin vida, contamináu por bombes, armes biolóxiques y envelenamientos, que traxeron epidemies, fame, y la perda total de la naturaleza humana pola situación estrema. Y les zones más mortíferes son eses antigües ciudaes, abandonaes y en ruines, onde solo dalgunes espediciones entren y munches veces nun vuelven.
Ellos podíen vivir ochenta años, nós si llegamos a cuarenta yá ye raro. Ye como si eso que nomaben globalización, que xunía les antípodes del mundu, fora tamién la fin.
Y volvimos a l’agricultura, ganadería, a llegar al día siguiente, volvimos pa les tierres nes que casi nun había xente, a los pueblos,esos que nun foron blancu de los estragos de la guerra pola poca utilidá que los importantes creyíen que teníen.
Asina entamaron a surdir pequeños Estaos, que desconfíen unos d’otros, con llingües distintes pa guardar los pocos secretos que caltienen. …Pero si dalgo nos quitó esa guerra, el pagu por tolo que ficimos, foi la escritura. Si dalgún fuera a pescanciar el futuru nun lo diba creyer.
Son miles los llibros que sobrevivieron, pero nun somos a lleer nin una pallabra, y con esto perdimos la capacidá de crear y protexer el futuru en dalgo tan básico como yera pa ellos el papel y la tinta
Solo nos queda la nuesa memoria viva, y el non dexar morrer la nuesa memoria coleutiva. Intentamos desendolcar sistemes, similares a los qu’ellos emplegaben pa codificar, ensin ésitu. Y lo mesmo qu’ellos nun sedríen a entender cómo la humanidá nun sabe lleer y escribir, nós nun somos a entender cómo la nuesa especie escaeció esa ferramienta.”
Los viaxeros esperaron una rempuesta, y nun esperaben que fuera a ser tan rápida como la que recibieron.
“Tais equí, unviaos dende un Estáu que diz ser el resurdir de l’Antigua Península; tais nel norte d’ella, otru sitiu, con otra llingua, nel llugar que foi escaecíu y abandonáu; tais equí porque l’únicu requexu d’esperanza que tenéis surdió equí.
Nestes tierres nacieron los Diarios d’Eutopos: audiciones, llibros, grabaciones feches por una maestra que vio’l futuru prietu y dexó l’enseñu de los conocimientos de la so época, lo qu’ella nomaba la cultura básica y xeneral. Gracies a esto conocéis los países antiguos, los mapes, la estensión del mundu, histories, matemátiques, el mediu ambiente…y paez raro, que con tolo que fizo, nun enseñara a lleer y escribir. Y les teoríes dicen que tuvo que perderse l’últimu d’esos diarios. Y por eso tais equí, más de venti años investigando, poles referencies, les pistes, los comentarios…y la desesperación.”
Ún de los viaxeros llevantóse y entamó a falar.
“Ye la última esperanza de la humanidá, y sabemos que tien qu’esistir.Seguramente na so dómina yera una persona normal, pero agora ye la única esperanza que nos queda, una salvadora. La xente muerre de fame, d’enfermedaes, en guerres innecesaries, …Si vós tenéis eso, tenéis la clave pa que resurdamos d’esta época oscura.”
Una de les habitantes d’aquel llugar fizo una mueca irónica y retrucó.
“Ye la esperanza, supuestamente, del vuesu Estáu. Nun sabéis qu’hai más acullá: qué son los aviones, si les pirámides tovía s’alcen pente les dunes de sable, qué ye lo que falen al otru llau del océanu…Hai dalgo que podemos dicivos seguro: el ser humanu nun ye a ver más allá munches vegaes de lo que-y cunten. ¿Qué pruebes tenéis de que too eso nun esiste? De que naide ye a entender lo que significa una lletra xunida a otra, les pallabres, les frases y los testos. ¿Daveres pensáis que’l ser humanu ye tan tontu? Igual tenéis que reflexonar, porque ta claro qu’un pueblu analfabetu ye más fácil de controlar qu’un que tien ferramientes pa deprender y ver lo que ta bien y mal.
De sutrucu llevantóse y garró un llibru de la estantería. Entamó a lleer les pallabres de lo que yera una copia escrita del diariu perdíu. Paecía que lo que pa ellos yera una ayalga, pa ella yera dalgo normal.
“Diariu d’Eutopos: Númberu venticinco, Cómo deprender a lleer y a escribir. Ye la escritura y la llectura una ferramienta que fai que la xente deprenda y maxine, pero tamién que comprenda y evolucione. Magar que pue paecer imposible qu’esti don tan humanu se pierda, preba hai nel nuesu pasáu d’ello, y la ignorancia ye la meyor de les ferramientes pa controlar a la xente…”
XXI Concursu internacional de relatos curtios
Fernando Belmonte / Antoloxía “Fecho en cuarentena”,
editorial Radagast (2020)
TESTO ITALIANO
EUTOPOS
Blanca I. Fernández Quintana
Nessuno di quei viaggiatori stranieri si era reso conto di cosa avrebbe significato quell’incontro.
“Il mondo in cui ci è toccato vivere non è quello descritto dai nostri antenati: un mondo in cui la tecnologia era per tutti, in cui l’elettricità non era limitata, in cui non mancava nulla, in cui le grandi città erano il soffio della civiltà... quel mondo non esiste più. Il nostro mondo, sai, è diverso.”
Uno dei viaggiatori cominciò a parlare così, senza suscitare sorpresa nei suoi ascoltatori.
“E non fu una malattia inspiegabile, non fu quello che abbiamo ascoltato sul cambiamento climatico... fu l’uomo stesso. Si uccisero a vicenda e uccisero quasi del tutto questa terra.
Gli storici la chiamano la Terza Guerra Mondiale, ma la gente la conosce come I Cinquanta: perché furono cinquant’anni di macro guerra e più di cinquanta nazioni si batterono per il potere, nazioni di cui oggi ne rimangono poche. Dicono che c’erano più di sei miliardi di persone e ora non sappiamo nemmeno se ce ne saranno cento milioni.
Dei grandi Paesi ci rimangono i nomi: Cina, India, Stati Uniti,... terre deserte, senza vita, contaminate dalle bombe, armi biologiche e avvelenamenti che hanno portato epidemie, carestie e la totale perdita della natura a causa della situazione estrema. E le zone più letali sono quelle antiche città, abbandonate e in rovina, dove entrano solo poche spedizioni e quasi mai tornano.
Loro vivevano ottant’anni, noi, se arriviamo ai quaranta è già tanto. È come se quella che chiamavano globalizzazione che univa gli antipodi del mondo, fosse stata anche la fine.
E siamo tornati all’agricoltura, all’allevamento, a vivere alla giornata, siamo tornati nelle terre dove quasi non c’era gente, nei paesini, quelli che non furono presi di mira dai danni della guerra per la scarsa utilità che “gli importanti”pensavano che avessero.
Sono così emersi piccoli stati che diffidano l’uno dell’altro, con lingue diverse per mantenere i pochi segreti che custodiscono. …Ma se quella guerra ci ha tolto qualcosa, il prezzo che abbiamo pagato per i nostri errori, è stata la scrittura. Se qualcuno avesse potuto vedere il futuro, non ci avrebbe creduto.
Ci sono migliaia di libri che sono sopravvissuti, ma non riusciamo a leggerne una parola, e così abbiamo perso la capacità di creare e proteggere il futuro attraverso qualcosa di così basico come lo erano per loro la carta e l’inchiostro.
Ci rimane solo la memoria viva e il non lasciar morire la nostra memoria collettiva. Abbiamo provato a sviluppare sistemi simili a quelli che loro usavano per codificare, senza successo. E proprio come loro non riuscirebbero a capire come l’umanità sia diventata incapace di leggere e scrivere, noi non riusciamo a capire come la nostra specie abbia dimenticato quello strumento.”
I viaggiatori aspettavano una risposta, e non immaginavano che sarebbe stata veloce come quella ricevuta.
“Siete qui, inviati da uno Stato che afferma di essere la rinascita della Vecchia Penisola; siete al nord di essa, in un altro posto, con un’altra lingua, in un luogo che è stato dimenticato e abbandonato; siete qui perché l’unico angolo di speranza che avete è questo.
In queste terre sono nati i Diari di Eutopos: audio, libri, registrazioni realizzati da un’insegnante che ha visto un futuro buio e ha tramandato l’essenza del sapere del suo tempo, quello che lei chiamava cultura di base. Grazie a lei conoscete le sapienze dei paesi antichi, le mappe, l’estensione del mondo, le storie, la matematica, l’ambiente... e mi sembra strano che con tutto quello che ha fatto, non abbia insegnato a leggere e a scrivere. Le teorie dicono che l’ultimo di quei diari si sia perso. Ed è per questo che siete qui, dopo più di vent’anni di ricerca, per i riferimenti, gli indizi... e per disperazione.”
Uno dei viaggiatori si alzò e cominciò a parlare.
“Quella è l’ultima speranza dell’umanità, e siamo sicuri che esista. Sicuramente lei era una persona normale, ma ora è l’unica speranza che ci rimane, una salvatrice. Le persone muoiono di fame, malattie, in guerre inutili, … Se avete quei giornali, avete la chiave per uscire da questa epoca oscura.”
Uno degli abitanti di quel luogo fece una smorfia ironica e rispose.
“È la speranza, presumibilmente, del vostro Stato. Non sapete cosa ci sia oltre: cosa sono gli aerei, se le piramidi si ergono ancora tra le dune di sabbia, cos’è che parlano dall’altra parte dell’oceano... C’è qualcosa che possiamo dirvi con certezza: gli esseri umani spesso non vedono al di là di quello che gli viene raccontato. Che prove avete che tutto questo non esiste davvero? Che nessuno capisca cosa significhi una lettera legata ad un altra, le parole, le frasi ed i testi. Pensate davvero che gli esseri umani siano così stupidi? Forse dovreste riflettere, perché è chiaro che un popolo analfabeta è più facile da controllare rispetto a uno che ha gli strumenti per imparare e vedere cosa è giusto e cosa è sbagliato.”
Improvvisamente si alzò e afferrò un libro dallo scaffale. Cominciò a leggere le parole di quella che era una copia dattiloscritta del diario perduto. Sembrava che quello che per loro era un tesoro, per lei fosse normale.
“Diario di Eutopos: numero venticinque, come imparare a leggere e scrivere. La scrittura e la lettura sono uno strumento che ci fa imparare e immaginare, ma anche capire ed evolvere. Nonostante possa sembrare impossibile che questo dono così umano vada perduto, ne abbiamo la prova nel nostro passato, e l’ignoranza è lo strumento migliore per controllare le persone…”
(trad. Mariona Miret)
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